Libia: Cameron e Sarkozy a Tripoli per incontrare i vertici del Consiglio nazionale
di transizione
La Libia apre le porte alla diplomazia internazionale. Il presidente francese, Nicolas
Sarkozy, e il premier britannico, David Cameron, sono giunti stamani in una Tripoli
blindata per incontrare la nuova leadership del Paese nordafricano. In arrivo in Libia
anche il premier turco Erdogan, mentre nella capitale si è insediato oggi l’ambasciatore
italiano, Giuseppe Buccino. Il capo dell'Eliseo e il titolare di Downing Street stanno
avendo colloqui con i responsabili politici del Consiglio Nazionale di Transizione
(Cnt), per fare il punto sul processo di stabilizzazione ma anche sulla resistenza
messa in atto sul terreno dai fedelissimi di Gheddafi, oltre che su appalti e petrolio.
Cameron, in conferenza stampa coi vertici libici, ha promesso: ''vi aiuteremo a trovare
Gheddafi e a catturarlo''. Sarkozy ha assicurato che la Francia rimarrà accanto al
popolo libico "fino a quando la pace sarà minacciata". I due leader europei - che
nella capitale hanno visitato pure un ospedale - nelle prossime ore dovrebbero recarsi
a Bengasi, roccaforte del Cnt. Sui motivi di questa visita in Libia di leader stranieri,
Giada Aquilino ha intervistato Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni
Internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:
R. – Le cose
si stanno muovendo rapidamente in tutto l’arco mediterraneo ed arabo. Lo scenario
è in evoluzione. Gli unici che sembrano non accorgersene sono alcuni Paesi europei,
gli israeliani ed in parte anche gli americani. La fretta di andare in visita in Libia,
quindi, è legata proprio al cercare di guadagnare posizioni in uno scenario in movimento.
D.
– E’ una corsa agli appalti e al petrolio libico o ci sono anche ragioni interne europee?
Pensiamo al lancio, in queste ore, della campagna socialista per le presidenziali
francesi e la crisi economica che, di fatto, ha colpito anche la “big society” inglese...
R.
– Sì. Una politica estera non è mai mossa da un solo motivo e nessuna azione è legata
ad una specifica causa. Sicuramente c’è un problema di fare una politica estera che
sia accompagnata da prospettive economiche per le proprie imprese. In un momento di
crisi economica questo è un buon argomento in campagna elettorale ed è anche un segnale
per ribadire la leadership su un’operazione che è stata a guida franco-inglese. E’
la competizione, è il mercato, è la crisi.
D. – E poi c’è la Turchia
di Erdogan, che in Libia contende alla Cina il primato di interessi ed investimenti...
R.
– Sì. Dopo l’Italia, la Turchia è forse uno dei Paesi più presenti in Libia e, prospetticamente,
cerca di "mettere all’incasso" Erdogan e il suo nuovo posizionamento di politica estera,
che non è anti-europeo, anti-americano, anti-occidentale, anti-israeliano. E’ una
politica estera che tiene conto del fatto che con le rivoluzioni arabe tutto è in
movimento e cerca di intercettare questo flusso di cambiamento. Si noti una cosa:
quando sono iniziate le rivoluzioni arabe, sia nei confronti della Libia di Gheddafi
e sia nei confronti della Siria di Assad, la Turchia di Erdogan era molto prudente.
Quando poi però ha visto che le cose andavano in una certa direzione, è stata rapidissima
ad adattare la sua politica alla situazione ormai cambiata. Questo non è né opportunismo
né cinismo: è comprensione dello scenario in movimento.
D. – La crisi
libica è al centro dei lavori del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La Gran Bretagna
preme per un alleggerimento delle sanzioni, un embargo ridotto sulle armi ed il mantenimento
della ‘no fly zone’. Che provvedimenti sono?
R. – Provvedimenti ‘attendisti’,
nel senso che è difficile immaginare che nel momento in cui c’è un nuovo governo si
può continuare con un embargo delle armi. In questo caso, si otterrebbe probabilmente
il veto di qualcun altro ed il solo risultato pratico sarebbe che i libici andrebbero
ad armarsi altrove. Per quanto riguarda la ‘no fly zone’, finché ci sono combattimenti
in corso – e forze lealiste superstiti – è opportuno venga mantenuta. L’importante
credo sia ribadire con forza che non bisogna mandare un esercito d’occupazione europeo
o occidentale in Libia, perché sarebbe un errore totale.
D. – Parliamo
di post-Gheddafi ma, in queste ore, il ruolo del colonnello qual è?
R.
– Di fuggitivo. In questo momento Gheddafi è uno dei più grandi latitanti della scena
internazionale. Direi che con la morte di Bin Laden lui è il latitante numero uno
e nel momento in cui continua ad essere inafferrabile resta un elemento di perturbazione.
(vv)