Truppe siriane al confine turco: decine di vittime
In Siria prosegue lo scontro cruento tra il regime di Damasco e l’opposizione che
continua a manifestare contro il presidente al Assad. Le forze dell'ordine da stamani
sono impegnate in alcuni interventi militari in diversi villaggi nel nord-ovest del
Paese, ai confini con la Turchia. Lo riferisce l'Osservatorio siriano dei diritti
dell'Uomo. Drammatico il bilancio della repressione nelle ultime 24 ore: almeno 27
le persone rimaste uccise nel corso di operazioni per fronteggiare la rivolta. Mentre
l’Unione Europea minaccia nuove sanzioni, anche il primo ministro turco, Erdogan,
accusa Assad di non aver varato le riforme necessarie. Intanto, proprio Erdogan sta
continuando il suo tour diplomatico che, dopo l’Egitto, lo vede oggi in Tunisia e
domani in Libia. Sul ruolo di Ankara nelle crisi del mondo arabo, Giancarlo La
Vella ha intervistato Luciano Ardesi, esperto di nord-Africa:
R. - Mi pare
di capire che la Turchia cerchi di assumere un ruolo regionale, quanto meno, in un’area
dove - soprattutto nell’ultimo anno - è mancata una egemonia. Lo ha manifestato la
“primavera araba”, con la presenza di tutti i principali attori, l’Unione Europea,
la Nato, gli Stati Uniti, ma senza che nessuno di questi Paesi abbia la possibilità
di dire l’ultima parola. La Turchia credo che si stia inserendo in questo vuoto. Probabilmente
è il timore che l’opposizione interna possa risvegliare la Turchia cerca di controllare
il suo vicinato, facendo in modo che non degenerino in rivolte che possono poi contagiare
il Paese. Di fatto, esiste un pericolo per un Paese musulmano come la Turchia, che
possa prima o poi essere contagiato da questa spinta.
D. - Quindi un
modo per contrapporre alla possibilità che si instaurino regimi fondamentalisti un
islam moderato?
R. - Diciamo che la Turchia, che ha abbracciato in questi
ultimi anni un cammino diverso da quello laico e tradizionale del suo fondatore, Ataturk:
ha, però, tutto l’interesse a non esasperare l’influenza dell’islam sia nella vita
politica che in quella sociale, ma è chiaro che mantiene un equilibrio. La Turchia
non ha rotto completamente con l’Europa, anche se ne è rimasta delusa per l’emarginazione
di cui è stata in parte vittima; dall’altro canto, è consapevole che anche le tensioni
che ci sono nell’area - non solo per le rivolte arabe, ma basti pensare anche al conflitto
israelo-palestinesi - la Turchia ha timore che questi focolai si traducano - prima
o poi - in elementi di instabilità. Da qui anche una decisione di rivedere la propria
politica nei confronti di Israele: dettata certamente dallo “schiaffo” ricevuto con
l’attacco israeliano alle proprie navi, ma anche perché questo focolaio, come in parte
le rivolte arabe dimostrano, è un elemento di destabilizzazione di tutta l’area mediterranea.
D. - Proprio per quanto riguarda i rapporti con l’Unione Europea: questa
missione Erdogan è un tentativo di porsi come primo mediatore in un’area così in crisi
e in modo tale da provocare un riavvicinamento con Bruxelles?
R. - Sicuramente
la Turchia, che è anche membro della Nato, della Nato che sta bombardando la Libia,
è chiaro che vuole rivedere gli equilibri all’interno del sistema delle alleanze con
i singoli Paesi europei e con l’Unione Europea. Sicuramente il tentativo sarà di riequilibrare
a proprio favore questa alleanza tradizionale che la Turchia vorrebbe, in qualche
modo completare, con un suo eventuale ingresso nell’Unione Europea, contrastato in
questi ultimi anni. (mg)