Somalia. Mons. Bertin: bene gli aiuti umanitari, ma ci vuole la giustizia per vincere
la fame
La prossima settimana all’Onu si parlerà della drammatica situazione in Somalia. In
questi giorni proprio le Nazioni Unite confermano che il numero di persone colpite
dalla carestia è arrivato a 750.000, il doppio rispetto a luglio. Sul piano politico
interno, dopo la lunga 'transizione' politica logorante e pericolosa, le autorità
hanno annunciato una 'road map' che dovrebbe portare ad una nuova Costituzione e ad
elezioni entro un anno. Intanto purtroppo spesso avvengono disordini durante la distribuzione
degli aiuti, che non è facile. Fausta Speranza ha parlato con mons. Giorgio
Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio:
R. – Soprattutto
quando si tratta di aiuti di prima necessità – viveri, coperte, tende, medicinali
- bisognava già conoscere questa difficoltà perché l’esperienza insegna. Già nel 1992-'93
era successo qualcosa del genere. Adesso, dopo vent’anni di mancanza di legge, di
mancanza di Stato, è chiaro che ci sono i profittatori. Viviamo una fase di passaggio
da una guerra civile all’uscita degli Shabaab, almeno da Mogadiscio, però le autorità
di transizione ancora non sono in grado di prendere in mano la situazione. Piuttosto
che far arrivare i beni di prima necessità da fuori, preferiamo la formula di fare
acquistare da commercianti locali quello di cui abbiamo bisogno per la gente, perché
il commerciante locale può difendersi meglio e conosce molto meglio il terreno che
non le grosse organizzazioni che arrivano con grandi quantità. Sono le grandi quantità
ad essere oggetto di sciacallaggio.
D. – Dunque, in qualche modo, la
comunità internazionale si è mossa tra grandi clamori, però i risultati ancora non
sono quelli auspicabili…
R. – Sì. Fin dall’inizio ho detto che non bisogna
accontentarsi, liberarsi la coscienza, facendo gesti umanitari, ma bisogna impegnarsi
anche in gesti a carattere politico, a carattere di giustizia. So che questo discorso
ha implicazioni che dureranno di più che il gesto umanitario in cui si fa soltanto
il dono, ma purtroppo non c’è altra via per uscire dal caos in cui si trova la Somalia
del centro-sud.
D. – La prossima settimana all’Onu dovrebbe esserci
una riunione dedicata proprio alla situazione in Somalia. E’ stata annunciata da poco
una 'road map' che dovrebbe portare entro il prossimo anno a nuove elezioni e nuova
Costituzione. Che cosa non deve trascurare la comunità internazionale?
R.
– Non si deve dimenticare che ci sono stati vent’anni di assenza di Stato e quindi
non è facile uscire da questa situazione. Molte persone, diciamo quelli un po’ più
'furbi', ormai hanno cominciato ad approfittarne e allora non ci si deve scoraggiare
di fronte alle difficoltà che si troveranno, difficoltà che saranno gravi. Quando
si parla anche di nuove elezioni e nuova Costituzione a me sembrano un po’ chimere;
in un Paese così allo sbaraglio mi sembra un po’ utopico prevedere di fare tutto questo
in un anno, quando non si è riuscito in vent’anni. Comunque, direi che la comunità
internazionale non deve lasciarsi prendere dallo scoraggiamento e deve sapere le grosse
difficoltà che dovrà affrontare in questo periodo proprio per non fermarsi nell’impegno.
(bf)