Il cardinale Ravasi alla Sagra Musicale Umbra: ritrovare un rapporto fecondo tra musica
e fede
Recuperare il rapporto tra la musica contemporanea e le forme dell’espressione liturgica,
per dare nuovo respiro a un rapporto che nel passato ha prodotto capolavori immortali.
È l’auspicio con il quale il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio
Consiglio della Cultura, partirà domani alla volta di Perugia per aprire i lavori
del Convegno “Musica e fede”, al quale partecipano alcuni tra i massimi compositori
ed esecutori italiani e internazionali. Il Convegno inaugura la 66.ma Sagra Musicale
Umbra, uno dei più antichi Festival italiani di musica sacra e classica, che quest’anno
presenta – sotto il titolo “Dal vecchio al nuovo mondo” – un percorso che va dalle
riduzioni gesuitiche del Seicento di padre Domenico Zipoli alla New York del Novecento
di Leonard Bernstein. Alla vigilia del Convegno, Alessandro De Carolis ha chiesto
al cardinale Gianfranco Ravasi quale rapporto unisca musica e fede:
R. – Il rapporto
tra musica e fede ha, alle spalle, una tradizione straordinaria che ha prodotto un
numero enorme di capolavori. Per almeno due millenni, quasi, la musica e la fede si
sono sempre intrecciate tra di loro: si pensi soltanto al Salterio, alle Messe, al
canto gregoriano, agli inni e così via… Questo rapporto, però, si è ora un po’ incrinato,
anche perché probabilmente nell’ambito ecclesiale le composizioni sono state, certe
volte, non all’altezza della funzione. E, dall’altra parte, c'è la musica che si è
ormai indirizzata verso percorsi completamente lontani da qualsiasi dialogo con la
fede. L’importante è riuscire ancora a rintracciare quel legame profondo che le unisce
e a intrecciare, tra di loro, queste due “sorelle”.
D. – In questo
rapporto un po’ incrinato, come lei dice, tra musica e fede, che stagione sta vivendo
la musica liturgica?
R. – Io penso ci siano almeno tre livelli differenti
da considerare. Il primo livello è certamente quello della musica spirituale in senso
lato: lo è un po’ tutta la grande musica, ma anche la musica di oggi ha in sé delle
tensioni di tipo spirituale. Pensiamo, per esempio, ad alcuni autori come De André
- nella “Buona Novella” c’è una dimensione spirituale nell’interno - pensiamo a Leonard
Cohen negli Stati Uniti, che spesso attinge al patrimonio persino biblico; ma ancora
Vecchioni, Baglioni per non parlare poi di Battiato. Sono autori che, pur appartenendo
all’orizzonte – direi – esterno, hanno una loro musica spirituale. C’è poi un secondo
livello, che è il livello della musica sacra, che è quella più solenne e che può essere
anche in concerto – come accadeva in passato e come accade ancora nelle grandi istituzioni
musicali – e che usa magari testi biblici o temi biblici e potrebbe ora, con il nuovo
linguaggio musicale, ricreare altre opere. Il terzo livello, quello più delicato e
più complesso, è quello liturgico: qui bisognerebbe proprio fare in modo che, da un
lato, ci sia la possibilità sempre di recuperare e far fruire del grande patrimonio
del passato; ma anche – dall’altro – il tentativo di riuscire a creare nuove forme
che non siano – come è spesso accaduto – di bassa qualità o modeste dal punto di vista
della realizzazione, ma siano composizioni che tengano conto del rito, del culto in
senso stretto, che ha una sua forma espressiva, e anche delle innovazioni, della nuova
grammatica che ha la musica contemporanea.
D. – Nel percorso di recupero
del rapporto tra musica e fede che contributo pensa possa, eminenza, offrire il Convegno
che lei presiede alla Sagra Musicale Umbra?
R. – Auspico che questo
evento – che è di livello piuttosto alto, perché la Sagra Musicale Umbra ha ormai
una grande tradizione e poi si nota anche dalle personalità che vi partecipano quanto
sia intensa e anche qualificata la ricerca – porti a due risultati: da una parte il
cercare di far sì che si ritorni da parte della musica colta contemporanea ad interessarsi
– per esempio – del testo sacro, dei grandi simboli, dei grandi temi spirituali e,
dall’altra parte, si possa fare una riflessione più rigorosa sul rapporto fede e liturgia,
facendo sì che anche – come accade per l’architettura – non si facciano composizioni
che siano magari qualitativamente anche alte, ma non adatte alla celebrazione stessa.
Ecco perché sarà importante continuare questa ricerca, coinvolgendo anche liturgisti,
coinvolgendo anche teologi in modo che questa relazione abbia la sua pienezza. (mg)