Tavola della Pace e ong italiane in Afghanistan tra le vittime della guerra
In Afghanistan dall’arrivo dei soldati sovietici nel 1978 non si è mai smesso di combattere.
Secondo uno studio americano, i 10 anni di intervento militare voluto dagli Stati
Uniti nell’ottobre 2001, hanno provocato 34 mila morti, in gran parte civili. Oltre
440 i miliardi di dollari spesi. A ricordarlo, Tavola della Pace, Pax Christi e altre
Ong italiane appena rientrate da una missione di pace a Kabul. 6 giorni durante i
quali si sono svolti incontri con i familiari delle vittime di guerra e con i rappresentanti
della società civile per trovare strade alternative alla violenza. Per un bilancio
di questa missione Adriana Masotti ha intervistato don Renato Sacco delegato di Pax
Christi:
R.
- Innanzitutto si resta davvero segnati dentro, perché di solito l’Afghanistan rischia
di essere una realtà un po’ virtuale, immaginaria: la vita, le persone non arrivano
mai nelle nostre case. Noi, invece, siamo andati lì proprio per incontrare queste
persone e con noi c’era anche un americano, in rappresentanza delle vittime delle
Torri Gemelle. Un americano che incontrava delle donne afghane, entrambi vittime della
violenza del terrorismo e dicevano: “Noi vogliamo la pace”. Ci siamo incontrati a
Kabul, in questa città di quattro milioni di abitanti quando ne prevedeva neanche
un milione. Ci sono fogne a cielo aperto, traffico, caos, ci sono ancora alcune case
di paglia e fango. Gli indici di qualità della vita sono tra i più bassi del mondo.
Passati 10 anni dall’intervento della Comunità Internazionale - che ha coinvolto circa
40 Paesi - ci si chiede cosa ha portato tutto questo investimento di persone e di
soldi. Credo che il bilancio sia fortemente negativo.
D. - Che cosa
succederà quando ci sarà il ritiro, ormai imminente, di tutte le forze internazionali?
R.
- E’ difficile prevederlo. Certo, in questa situazione prevale la logica del più forte:
i signori della guerra, i grossi potentati economici, il narcotraffico. Credo che
la Comunità Internazionale, se ha davvero a cuore la vita di questo Paese - che da
30 anni vive la guerra -, non si deve ritirare ma deve dire: “Noi siamo qui per aumentare
la qualità della vita delle persone e non per aumentare le bombe o il business del
narcotraffico”. Io non so immaginare cosa accadrà. Parlando per l’Italia, credo che
se tenessimo l’investimento di due milioni di euro al giorno per l’Afghanistan faremmo
una grande cosa. Bisogna cambiare strada, ritirarsi dai percorsi della guerra ed aprire
nuove vie di pace. (vv)