Il Papa all'udienza generale: Dio ascolta il grido dell'oppresso e salva chi è nell'angoscia
e nel dolore
Il Papa ha ripreso oggi le udienze generali in Piazza San Pietro tornando al ciclo
di catechesi sulla preghiera iniziato il 4 maggio scorso. Stamani ha cominciato le
meditazioni su alcuni Salmi, che, come aveva detto nel giugno scorso, formano il “libro
di preghiera” per eccellenza. Il primo su cui si è soffermato “è un Salmo di lamento
e di supplica pervaso di profonda fiducia, in cui la certezza della presenza di Dio
fonda la preghiera che scaturisce da una condizione di estrema difficoltà in cui si
trova l’orante. Si tratta del Salmo 3, riferito dalla tradizione ebraica a Davide
nel momento in cui fugge dal figlio Assalonne (cfr v. 1): è uno degli episodi più
drammatici e sofferti nella vita del re, quando suo figlio usurpa il trono regale
e lo costringe a lasciare Gerusalemme per salvarsi la vita (cfr 2Sam 15ss). La situazione
di pericolo e di angoscia sperimentata da Davide - prosegue il Papa - fa dunque da
sottofondo a questa preghiera e aiuta a comprenderla, presentandosi come la situazione
tipica in cui un tale Salmo può essere recitato. Nel grido del Salmista, ogni uomo
può riconoscere quei sentimenti di dolore, di amarezza e insieme di fiducia in Dio
che, secondo la narrazione biblica, avevano accompagnato la fuga di Davide dalla sua
città.
Il Salmo inizia con un’invocazione al Signore: «Signore, quanti
sono i miei avversari! Molti contro di me insorgono. Molti dicono della mia
vita: “Per lui non c’è salvezza in Dio!”» (vv. 2-3).
La descrizione che
l’orante fa della sua situazione - sottolinea Benedetto XVI - è segnata da toni fortemente
drammatici. Per tre volte si ribadisce l’idea di moltitudine - “numerosi”, “molti”,
“tanti” - che nel testo originale è detta con la stessa radice ebraica, così da sottolineare
ancora di più l’enormità del pericolo, in modo ripetitivo, quasi martellante. Questa
insistenza sul numero e la grandezza dei nemici serve a esprimere la percezione, da
parte del Salmista, dell’assoluta sproporzione esistente tra lui e i suoi persecutori,
una sproporzione che giustifica e fonda l’urgenza della sua richiesta di aiuto: gli
oppressori sono tanti, prendono il sopravvento, mentre l’orante è solo e inerme, in
balìa dei suoi aggressori. Eppure, la prima parola che il Salmista pronuncia è “Signore”;
il suo grido inizia con l’invocazione a Dio. Una moltitudine incombe e insorge contro
di lui, generando una paura che ingigantisce la minaccia facendola apparire ancora
più grande e terrificante; ma l’orante non si lascia vincere da questa visione di
morte, mantiene saldo il rapporto con il Dio della vita e a Lui per prima cosa si
rivolge, in cerca di aiuto. Però i nemici tentano anche di spezzare questo legame
con Dio e di incrinare la fede della loro vittima. Essi insinuano che il Signore non
può intervenire, affermano che neppure Dio può salvarlo. L’aggressione non è solo
fisica, ma tocca la dimensione spirituale - il Signore non può salvarlo, dicono -
il nucleo centrale dell’animo del Salmista è aggredito. È l’estrema tentazione a cui
il credente è sottoposto: la tentazione di perdere la fede, la fiducia nella vicinanza
di Dio".
"Il Giusto - ha proseguito - supera l’ultima prova, egli resta saldo
nella certezza della verità e nella piena fiducia in Dio e proprio così trova la vita
e la verità e mi sembra che qui il Salmo ci tocchi molto personalmente in tanti problemi.
Siamo tentati di pensare che forse Dio non mi salva, non mi conosce, forse non ha
la possibilità. La tentazione contro la fede è l'ultima aggressione del nemico e a
questo dobbiamo resistere, così troviamo Dio e troviamo la vita. L’orante del nostro
Salmo è quindi chiamato a rispondere con la fede agli attacchi degli empi: i nemici
negano che Dio possa aiutarlo, egli invece Lo invoca, Lo chiama per nome, “Signore”,
e poi si rivolge a Lui con un “tu” enfatico, che esprime un rapporto saldo, solido,
e racchiude il sé la certezza della risposta divina: «Ma tu sei mio scudo Signore, sei
la mia gloria e tieni alta la mia testa. A gran voce grido al Signore ed egli
mi risponde dalla sua santa montagna» (vv. 4-5).
La visione dei nemici ora
scompare - spiega il Papa - loro non hanno vinto, perché chi crede in Dio è sicuro
che Dio è il suo amico: resta solo il “Tu” di Dio, ai “molti” si contrappone ora uno
solo, ma molto più grande e potente di molti avversari. Il Signore è aiuto, difesa,
salvezza; come scudo protegge chi si affida a Lui, e gli fa sollevare la testa, in
un gesto di trionfo e di vittoria. L’uomo non è più solo, i nemici non sono imbattibili
come sembravano, perché il Signore ascolta il grido dell’oppresso e risponde dal luogo
della sua presenza, dal suo monte santo. L’uomo grida, nell’angoscia, nel pericolo,
nel dolore; l’uomo chiede aiuto, e Dio risponde. Questo intrecciarsi di grido umano
e risposta divina è la dialettica della preghiera e la chiave di lettura di tutta
la storia della salvezza. Il grido esprime il bisogno di aiuto e si appella alla fedeltà
dell’altro; gridare vuol dire porre un gesto di fede nella vicinanza e nella disponibilità
all’ascolto di Dio. La preghiera esprime la certezza di una presenza divina già sperimentata
e creduta, che nella risposta salvifica di Dio si manifesta in pienezza". E' importante
- ha affermato quindi il Papa - che "nella preghiera ci sia la certezza della presenza
di Dio. Così, il Salmista, che si sente assediato dalla morte, confessa la sua fede
nel Dio della vita che, come scudo, lo avvolge all’intorno con una protezione invulnerabile;
chi pensava di essere ormai perduto può sollevare il capo, perché il Signore lo salva;
l’orante, minacciato e schernito, è nella gloria, perché Dio è la sua gloria.
La
risposta divina che accoglie la preghiera dona al Salmista una sicurezza totale; è
finita anche la paura, e il grido si acquieta nella pace, in una profonda tranquillità
interiore: «Io mi corico, mi addormento e mi risveglio: il Signore mi sostiene. Non
temo la folla numerosa che intorno a me si è accampata» (vv. 6-7).
L’orante
- ha sottolineato - pur in mezzo al pericolo e alla battaglia, può addormentarsi tranquillo,
in un inequivocabile atteggiamento di abbandono fiducioso. Intorno a lui gli avversari
si accampano, lo assediano, sono tanti, si ergono contro di lui, lo deridono e tentano
di farlo cadere, ma egli invece si corica e dorme tranquillo e sereno, sicuro della
presenza di Dio. E al risveglio, trova Dio ancora accanto a sé, come custode che non
dorme (cfr Sal 121,3-4), che lo sostiene, lo tiene per mano, non lo abbandona mai.
La paura della morte è vinta dalla presenza di Colui che non muore. E proprio la notte,
popolata di timori atavici, la notte dolorosa della solitudine e dell’attesa angosciata,
ora si trasforma: ciò che evoca la morte diventa presenza dell’Eterno.
Alla
visibilità dell’assalto nemico, massiccio, imponente - ha osservato - si contrappone
l’invisibile presenza di Dio, con tutta la sua invincibile potenza. Ed è a Lui che
di nuovo il Salmista, dopo le sue espressioni di fiducia, rivolge la sua preghiera:
«Sorgi, Signore! Salvami, Dio mio!» (v. 8a). Gli aggressori “si innalzavano” (cfr
v. 2) contro la loro vittima, chi invece “si alzerà” è il Signore, e sarà per abbatterli.
E se i nemici negavano ogni salvezza per il giusto perseguitato (cfr v. 3), Dio lo
salverà, rispondendo al suo grido. Perciò il Salmo si chiude con la visione della
liberazione dal pericolo che uccide e dalla tentazione che può far perire. Dopo la
richiesta rivolta al Signore di alzarsi a salvare, l’orante descrive la vittoria divina:
i nemici che, con la loro ingiusta e crudele oppressione, sono simbolo di tutto ciò
che si oppone a Dio e al suo piano di salvezza vengono sconfitti. Colpiti alla bocca,
non potranno più aggredire con la loro distruttiva violenza e non potranno più insinuare
il male del dubbio nella presenza e nell’azione di Dio: il loro parlare insensato
e blasfemo è definitivamente smentito e ridotto al silenzio dall’intervento salvifico
del Signore (cfr v. 8bc). Così, il Salmista può concludere la sua preghiera con una
frase dalle connotazioni liturgiche che celebra, nella gratitudine e nella lode, il
Dio della vita: «La salvezza viene dal Signore, sul tuo popolo la tua benedizione»
(v. 9).
Cari fratelli e sorelle - ha concluso il Papa - il Salmo 3 ci ha presentato
una supplica piena di fiducia e di consolazione. Pregando questo Salmo, possiamo fare
nostri i sentimenti del Salmista, figura del giusto perseguitato che trova in Gesù
il suo compimento. Nel dolore, nel pericolo, nell’amarezza dell’incomprensione e dell’offesa,
le parole del Salmo aprono il nostro cuore alla certezza confortante della fede. Dio
è sempre vicino - anche nelle difficoltà, nei problemi, nelle oscurità della vita
- ascolta, risponde e salva, a suo modo. Ma bisogna saper riconoscere la sua presenza
e accettare le sue vie, come Davide nella sua fuga umiliante dal figlio Assalonne,
come il giusto perseguitato del Libro della Sapienza e, ultimamente e compiutamente,
come il Signore Gesù sul Golgota. E quando, agli occhi degli empi, Dio sembra non
intervenire e il Figlio muore, proprio allora si manifesta, per tutti i credenti,
la vera gloria e la definitiva realizzazione della salvezza. Che il Signore ci doni
fede, venga in aiuto della nostra debolezza e ci renda capaci di credere e di pregare
in ogni angoscia, nelle notti dolorose del dubbio e nei lunghi giorni del dolore,
abbandonandoci con fiducia a Lui, nostro “scudo” e nostra “gloria”.