Somalia: la carestia mette in ginocchio anche la regione di Bay. In 750 mila rischiano
di morire
Si aggrava l’emergenza umanitaria nel Corno d’Africa. La carestia ha colpito un'altra
regione della Somalia, quella meridionale di Bay, la sesta del Paese a soffrire della
grave crisi alimentare. “Se il livello di risposta attuale continua così – denuncia
l’Onu – la fame avanzerà ancora nei prossimi quattro mesi e dei quattro milioni
di persone coinvolte, 750 mila rischiano la morte”. La regione di Bay, con capoluogo
Baidoa, ricca di corsi d’acqua, è una delle roccaforti delle milizie islamiche Shebab:
le restrizioni imposte da queste ultime alla distribuzione degli aiuti complicano
la situazione. Paolo Ondarza ha intervistato Paolo Beccegato, responsabile
area internazionale di Caritas Italiana.
R. – Nella
regione di Bay, pur essendo una zona di per sé abbastanza irrigata, ricca di fiumi
– di tutta la Somalia è la zona più popolata, più fertile e più attiva
– queste precipitazioni molto scarse, nell’arco dell’anno, stanno gradualmente
portando, di regione in regione, il livello di allerta da minimo ad emergenza, fino
al livello massimo, cioè quello di catastrofe o carestia.
D. - Quanto
sta contando anche l’assenza di una risposta adeguata da parte della comunità internazionale?
R.
- Direi che i due fattori vanno certamente di pari passo. La situazione di instabilità
intrinseca alla Somalia fa sì che, eccetto la città di Mogadiscio, controllata dal
governo, tutto il territorio si trovi in una situazione di sostanziale anarchia, di
tensione, di conflittualità armata e di violenza. Situazione che, evidentemente, non
permette di raggiungere la popolazione, né tantomeno di fare interventi preventivi
come anche di lavorare in termini di sviluppo agricolo.
D. - La regione
di Bay è una delle roccaforti delle milizie islamiche degli Shebab e questo complica
un po’ la situazione…
R. - Sì. Pur essendo abbastanza vicino a Mogadiscio,
la zona è in mano agli Shebab quasi nella sua totalità e non è affatto facile raggiungerla.
D.
- Le milizie degli Shebab come reagiscono di fronte a questa crisi umanitaria?
R.
- Hanno avuto una condotta altalenante. In alcuni casi hanno annunciato la disponibilità
ad aprire i corridoi umanitari, in altri, invece, sono molto più restie. Evidentemente
temono le ingerenze straniere, l’arrivo di contingenti Onu che, portando aiuti, secondo
loro potrebbero in qualche modo entrare nelle dinamiche del conflitto, anche solo
come osservatori.
D. - Questo, però, non ferma la vostra azione. Attraverso
di voi cosa può fare ognuno di noi?
R. - Abbiamo lanciato una colletta:
il 18 settembre, ci sarà la grande colletta nazionale, rivolta a tutte le comunità.
Quello che chiediamo è il massimo livello di solidarietà verso queste popolazioni
veramente dimenticate. Sul nostro sito, www.caritasitaliana.it, ci sono tutti i riferimenti
per poter contribuire e ci sono anche tutti gli aggiornamenti per quanto riguarda
le nostre attività. Attività che, nonostante le difficoltà, riusciamo a condurre non
solo in Somalia ma anche negli altri Paesi colpiti, in modo particolare in Kenya,
Etiopia, Gibuti, Eritrea. C’è anche una seconda fascia più larga, del Corno d’Africa,
della quale non vanno dimenticati i bisogni e le necessità. (vv)