In San Pietro i funerali del cardinale Deskur. Mons. Pastore: "Nel '78 Papa Wojtyla
gli disse: prega per la mia missione"
Si svolgeranno domani alle 11.30, nella Basilica di San Pietro, i funerali del cardinale
polacco Andrzei Maria Deskur, scomparso sabato scorso a Roma all’età di 87 anni. Il
rito sarà officiato dal cardinale decano Angelo Sodano, presso l’Altare della Cattedra.
Una vita quella del cardinale Deskur, tra i “figli più illustri” della comunità diocesana
di Cracovia, “spesa nell’adesione coerente e generosa alla propria vocazione”, ha
sottolineato Benedetto XVI nel suo messaggio di cordoglio. Chiamato a Roma, all’inizio
degli anni ’50, teologo conciliare, dedicato allo studio dei moderni mezzi di comunicazione,
il cardinale Deskur veniva colpito a soli 54 anni da una grave malattia invalidante.
Il servizio di Roberta Gisotti:
Da 33
anni prigioniero del suo corpo, il cardinale Deskur, paralizzato dai giorni del Conclave
che segnò l’elezione al soglio pontificio dell’allora arcivescovo di Cracovia, Karol
Wojtyla, suo compagno di seminario e grande amico per tutta la vita. Della statura
intellettuale e morale di questo “pio e zelante sacerdote” – come lo ha ricordato
ieri Benedetto XVI – “che seppe accettare l’infermità con evangelica rassegnazione”,
parliamo con il vescovo Pierfranco Pastore, che conobbe a fondo
e collaborò con il cardinale Deskur, in un ambito dove la Chiesa è stata per tanti
versi profetica, quello delle comunicazioni sociali.
D. - Quale eredità
più grande lascia Andrej Deskur?
R. - Vorrei dire che la sua missione
è stata segnata dal momento dell’elezione di Giovanni Paolo II al Pontificato, per
le parole stesse che gli disse il Papa quando andò a trovarlo il giorno dopo la sua
elezione all’ospedale Gemelli, dove lui era ricoverato. Gli disse: “Ecco, la tua missione,
adesso, è ben segnata: tu dovrai pregare per il nuovo Papa e per la Chiesa con la
tua sofferenza”. Credo che questa sia stata la missione più grande, quella più vera.
D.
- Lei ha avuto quindi modo di apprezzare la sua capacità di raccogliere questa particolare
missione. Quale insegnamento, anche umano, nell’accettazione della sofferenzale le
ha lasciato?
R. - Nel letto della sua sofferenza, lui a fianco accanto
aveva una gigantografia di Giovanni Paolo II che guardava continuamente. Credo che
il colloquio che c’era tra i due – e che noi non sentivamo, perché era
spirituale – era esattamente di totale dedizione e totale accettazione
di quella che era la volontà del Signore. E, credo che il cardinale Deskur abbia dato
davvero molto per il bene della Chiesa, non tanto e non soltanto quando fu degno presidente
dell’allora Pontificia Commissione delle Comunicazioni Sociali – che
poi divenne il Pontificio Consiglio, di cui sono stato segretario –
quanto proprio per il valore della sua sofferenza, offerta con grande generosità e
semplicità.
D. - Quali erano le sue idee innovative in quegli anni di
fervore su argomenti nuovi sui quali si dibatteva anche nella società civile?
R.
- Fu l’artefice – non l’unico, perché ci lavorarono in molti –
del documento che fu ed è, secondo me, ancora oggi fondamentale per l’apostolato delle
comunicazioni sociali nella Chiesa: la Communio et progressio. Penso che rileggere
quel documento significhi vedere quale segno abbia lasciato il cardinale Deskur della
sua attività, della sua intelligenza e grandezza morale alla Chiesa di tutti i tempi.
D.
- C’è un aneddoto personale di cui lei serba un ricordo particolare?
R.
- Proprio nel giorno in cui veniva beatificato il suo migliore amico, io assieme a
lui – l’allora arcivescovo Deskur era già sulla sedia a rotelle da molto tempo –
andammo vicino alla bara di Giovanni Paolo II che era già stata sistemata nella Basilica.
Mentre eravamo lì a pregare, davanti alla sua salma, mi venne in mente il giorno in
cui, subito dopo la sua elezione, il Papa andò a trovarlo al Gemelli. Quel momento,
quell’incontro mi sembrava fosse come la restituzione di una visita piena di gratitudine
e di affetto. (vv)