Mostra del Cinema: "Terraferma" di Crialese su Linosa e gli immigrati: nobile intento
ma poca commozione
E’ da poco terminata la proiezione per la stampa del primo film italiano in concorso
alla Mostra del Cinema di Venezia, l’attesissimo “Terraferma” di Emanuele Crialese:
molti applausi al termine per il film che affronta il dramma dell’immigrazione clandestina,
l’aridità dei cuori, la forza della carità e il riscatto delle coscienze, anche se
con un racconto troppo artificialmente costruito e con poche emozioni. Il servizio
di Luca Pellegrini:
La
“Terraferma”, questo il titolo e il miraggio, di Emanuele Crialese, si oppone al mare
mosso che circonda Linosa, mare che porta la vita, mare che porta la morte e la nasconde.
Non c’è dubbio che il film, scritto e diretto dal regista romano di origine siciliana,
sia un progetto ambizioso: non per l’impegno produttivo in sé, ma per il tema affrontato
e il come viene affrontato, il tipo di storia, la tensione morale che la anima, la
attraversa, la innerva. L’immigrazione clandestina vista dalle due sponde possibili,
di chi la riceve e talvolta anche subisce e di chi ne è, invece, il doloroso, innocente
soggetto. Una famiglia di pescatori, che si confronta anche con il cambio di stile
di vita e l’approssimarsi di nuove necessità economiche, costretta per questo a far
leva sul turismo per il proprio sostentamento, scardinando le proprie antiche tradizioni,
riceve sull’isola l’inaspettata visita, in mare e in casa, di un gruppo di etiopi,
come quei tanti anonimi e disperati che navigano nelle nostre acque, che spesso dentro
le acque sono sepolti. Le dinamiche familiari si imbriglieranno nel tentativo di dare
salvezza e copertura, ossia agire con l’umanità e la carità possibili, e in quello
di assecondare una legge che pare soltanto scritta e molto lontana dai cuori. Così
tra corpi ricevuti dalle onde e onde che accolgono turisti ingordi e distratti, sull’isola
di Crialese si apre la voragine dell’attualità, della disperazione e delle soluzioni
impossibili, a meno che la terraferma divenga la meta di un esodo marino, capace di
accogliere il nuovo popolo, la nuova gente, che ha il colore della pelle diverso dal
nostro.
Purtroppo Crialese, pur nella nobilissima impresa, commuove
poco e non riesce a evitare l’artificio intellettuale cui sottostà una sceneggiatura
esageratamente costruita a tavolino, i buoni che si sa sono buoni e i cattivi che
si sa da quale parte stanno, gli animi sensibili della povera gente e quelli feroci
delle forze dell’ordine, le maternità che si toccano e i corpi che, vivi o morti,
si separano e respingono, il buon senso di ieri e lo sfruttamento di oggi. Filippo,
l’adolescente, dovrà trovare il proprio riscatto, salvando una mamma e i due bimbi
dopo aver lasciato in mare un gruppo intero, in una notte oscura. E’ il riscatto della
coscienza, messaggio alto che dovrebbe invadere non soltanto l’anima di un povero
pescatore, ma quella di una nazione, di un intero popolo e soprattutto di chi lo governa.