Libia: gli insorti si avvicinano a Bani Walid, ultima roccaforte del regime
Si stringe la morsa attorno a Gheddafi, con gli insorti sempre più decisi a conquistare
la città di Bani Walid, una delle ultime roccaforti del regime. Alcuni scontri si
sono registrati nella notte alla periferia della città, sebbene il presidente del
Consiglio nazionale di transizione (Cnt), Abdel Jadil, abbia ribadito che l’ultimatum
alle postazioni fedeli a Gheddafi scadrà solamente sabato prossimo. Il servizio di
Michele Raviart:
“In poche
ore saremo a Bani Walid”, così un portavoce degli insorti ha annunciato l’imminente
attacco alla città che, ad ascoltare le voci che circolano in Libia, sarebbe l’ultimo
rifugio di Muhammar Gheddafi. Una decisione in realtà non del tutto in linea con la
dirigenza del Consiglio nazionale di transizione, che spera di prendere Bani Walid
negoziando la resa con le sparute forze ancora leali al colonnello presenti nella
città. A Tripoli, intanto, l’inviato speciale dell’Onu, Ian Martin, diplomatico britannico
ed ex segretario generale di Amnesty International, ha avanzato l’ipotesi di un futuro
impiego dei caschi blu in Libia, opzione non particolarmente gradita agli insorti.
“Grazie al nostro intervento sono state salvate migliaia di vite”, ha affermato intanto
il presidente francese, Nicolas Sarkozy, in una conferenza stampa a margine dell’incontro
internazionale di Parigi sul futuro della Libia, mentre il ministro degli Esteri italiano,
Franco Frattini, si è augurato che la gestione internazionale del nuovo corso libico
non si tramuti nuovamente in un “grosso errore” come è già avvenuto in Iraq.
Ma
quale sarà il futuro della Libia post-Gheddafi? E quale il destino dei Paesi raggiunti
dalla “primavera araba”? Michele Raviart lo ha chiesto a Fulvio Scaglione,
vicedirettore di Famiglia Cristiana ed esperto di politica internazionale:
R. – E’ difficile
dire quali saranno gli assetti reali, concreti, che prenderà la Libia, quando sarà
finita la fase del conflitto. Questo è il momento in cui il sentimento anti-Gheddafi
produce unità tra gli oppositori, ma bisognerà vedere domani, quando Gheddafi non
sarà più un ostacolo che cosa succederà tra loro, tra le tribù, tra le diverse regioni
della Libia, e anche cosa succederà rispetto alle diverse spinte nei Paesi che hanno
dato una mano al rovesciamento di Gheddafi, perché gli interessi strategici, per esempio,
di Italia e Francia sono completamente diversi.
D. – Questa settimana,
c’è stato un violento scontro a livello diplomatico tra Turchia e Israele. Come possiamo
leggere questo scontro nel contesto regionale?
R. – Io credo che anche
questi scontri vadano letti prima di tutto in un contesto globale. Io credo che la
Turchia sia un Paese sempre più importante, sempre più convinto del proprio ruolo
internazionale e non solo locale. Credo che Israele, purtroppo, per un’abitudine decennale
alla difesa e al sospetto nei confronti del mondo arabo, si sia un po’ bloccato su
delle posizioni di chiusura totale, che sono sempre più difficili da gestire, in un
angolo di mondo che non è più decisivo come prima, e le rivolte arabe lo dimostrano.
D.
– In Siria, si è registrata ieri l’ufficializzazione delle sanzioni dell’Unione Europea
contro il regime di al-Assad: si parla di blocco di importazioni di petrolio e messa
al bando di alcune società. Questi provvedimenti sono efficaci?
R. –
In generale, gli embarghi non hanno mai fatto cadere le dittature: hanno semmai intensificato
le sofferenze della popolazione che alle volte si è ribellata nei confronti della
dittatura. Non è l’embargo che ha fatto cadere Gheddafi, non è l’embargo che ha fatto
cadere Saddam Hussein. Nei confronti della Siria il discorso è molto semplice: la
Siria di Assad al momento attuale sta in piedi solo perché tutti hanno paura delle
conseguenze. Nessuno riesce a prevedere che cosa potrebbe succedere se Assad se ne
andasse in un Paese che è multietnico e governato da una minoranza alawita, rispetto
alla maggioranza sunnita. Un’altra cosa che tiene in piedi la Siria di Assad è di
non avere ricchezze petrolifere. Se avesse petrolio come la Libia, Assad sarebbe già
stato eliminato.
D. – Nel complesso, la comunità internazionale sembra
adeguata alla sfida e all’opportunità che sta dando questa primavera araba?
R.
– Credo di no. Credo che alla fine il tanto criticato Obama sia stato il più pronto
e il più furbo nell’affrontare questi problemi. Gli Stati Uniti hanno poggiato i rivolgimenti
in Egitto e in Tunisia e così hanno messo bene i piedi nel Nord Africa. Hanno con
molta discrezione appoggiato la missione militare contro la Libia di Gheddafi e, probabilmente,
avranno una parola decisiva negli assetti futuri della Libia. Io credo che la comunità
internazionale si faccia guidare quasi esclusivamente dall’interesse economico e credo
che questo sia un criterio in un mondo in rapido cambiamento non più così assoluto
come poteva essere all’epoca della "politica delle cannoniere" nell’800. (ap)