Ban Ki-moon chiede a Israele e Turchia di superare le divergenze
Il segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto a Israele e Turchia di tornare
a relazioni diplomatiche “normali”, all’indomani dell’espulsione dell’ambasciatore
israeliano da parte del governo di Ankara. La decisione è maturata dopo le mancate
scuse di Tel Aviv per l’attacco, lo scorso anno, di una nave turca della Freedom Flotilla
diretta a Gaza con aiuti umanitari, attacco che causò la morte di 9 cittadini turchi.
Sulla portata della crisi, Davide Maggiore ha chiesto un parere a Marcella
Emiliani, docente di Storia e istituzioni del Medio Oriente all’Università di
Bologna:
R. – L’incidente
è grave però, chiaramente, dietro c’è un discorso più importante. Fra un paio di settimane
ci sarà questa occasione all’Onu in cui il presidente dell’Autorità nazionale palestinese
Abu Mazen tenterà di far riconoscere lo Stato palestinese. Hamas in vista di questo
appuntamento si è riconciliata con l’Anp; Israele ha ritenuto che in questo momento
scusarsi con la Turchia, probabilmente, avrebbe significato rafforzare i palestinesi
e non ha voluto farlo.
D. – Quali altri fattori hanno contribuito recentemente
a deteriorare il rapporto tra Israele e la Turchia oltre all’episodio della Freedom
Flotilla?
R. – Il governo Erdogan, da quando l’Europa progressivamente
ha chiuso le porte alla Turchia, ha cominciato a ritessere tutta una serie di legami
con i Paesi arabi e non, come l’Iran. Questo significa che la Turchia è pronta a giocare
un ruolo di vera potenza in Medio Oriente e questo evidentemente disturba Israele.
D.
– Sul piano interno quali conseguenze avrà la vicenda per i due governi?
R.
- Per quello che riguarda Israele non credo che internamente questa cosa possa avere
riflessi. Per quello che invece riguarda Erdogan questa mossa di rompere con Israele
gli procura una grande popolarità. Non scordiamoci poi che dietro l’intera operazione
della Freedom Flotilla c’era un trust di finanziatori di un’alta borghesia; Erdogan
in questo momento non raccoglie semplicemente il favore del popolo.
D.
– Quali potrebbero essere invece le conseguenze sul panorama mediorientale?
R.
– Chiudere con Israele qualifica la Turchia come un possibile alleato per Paesi che
nell’area non siano Israele. Però non scordiamoci un’altra cosa sullo sfondo: la Turchia
è un Paese della Nato, dovesse spingersi troppo in là, arriverebbero sollecitazioni
dall’Occidente, soprattutto dagli Stati Uniti, che Erdogan in questo momento non ritiene
di dover provocare.
D. – Le Nazioni Unite possono fungere da mediatore
nella crisi?
R. – Ban Ki-moon ha la forza che il trust delle grandi
potenze internazionali gli dà, non ha una forza propria. Naturalmente rientra nei
suoi compiti invitare a una distinzione nell’area ma non ha in mano strumenti oggettivi
per poter comporre questa frattura. (bf)