Incontro delle Acli a 30 anni dalla Laborem exercens: il lavoro dei giovani, grande
emergenza di oggi
Le Acli, Associazioni cristiane dei lavoratori italiani, si riuniscono da oggi a Castel
Gandolfo per il loro 44.mo Incontro nazionale di studi sul tema “Il lavoro scomposto.
Verso una nuova civiltà dei diritti, della solidarietà e della partecipazione”. L’evento
si svolge nel trentennale dell’Enciclica di Giovanni Paolo II “Laborem Exercens”.
Domani interverrà anche il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Federico
Piana ha chiesto al presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero, perché
hanno dedicato l’incontro al cosiddetto “lavoro scomposto”:
R. – Perché
in questi anni abbiamo assistito, via via, ad una perdita del significato del lavoro
per come lo conoscevamo nei secoli addietro e anche soltanto fino ad un trentennio
fa. Da un lato, un lavoro destrutturato – pensiamo alla miriade di diversi contratti;
dall’altro lato, un lavoro che in molti casi non dà più identità alla persona, che
non segna più l’ingresso nell’età adulta perché non dà autonomia ai giovani lavoratori,
in particolare, un lavoro che manca; un lavoro – e questo forse è uno degli aspetti
più paradossali ma anche più drammatici della realtà di oggi – che non è nemmeno più
la parte, la componente essenziale dell’economia. Basti pensare – l’abbiamo visto
tutti – a questa grandissima crisi nella quale ci troviamo in questo momento, che
è una crisi finanziaria che ha tenuto conto pochissimo del lavoro, che in qualche
modo è stata provocata proprio da questo scollamento tra l’economia reale e quella
finanziaria, appunto, con ripercussioni paradossali: basti pensare che ormai da decenni
abbiamo visto in Borsa che ogni qualvolta una grande impresa annuncia licenziamenti,
cresce nel valore delle sue azioni portandoci a dire, quindi, che abbiamo scomposto,
abbiamo spezzato una logica e una possibilità di un modello di crescita.
D.
– Secondo lei, come si affronta questa questione del lavoro scomposto?
R.
– Innanzitutto, credo che dobbiamo avere una bussola, un punto di riferimento e su
questo noi ci connettiamo alla grande Enciclica di Giovanni Paolo II che fu promulgata
proprio a Castel Gandolfo 30 anni or sono: la “Laborem Exercens”, quando lui diceva
che è l’uomo il metro per valutare la dignità del lavoro. Io credo che ne potremo
uscire esclusivamente se noi ri-umanizziamo, cioè rimettiamo al centro la persona
e costruiamo un sistema economico, con annesso sistema sociale, che si basi su questo.
Questo, però, presuppone che ci sia una tensione morale molto forte, cioè che il lavoro
non venga visto soltanto come modo per avere risorse economiche per poter vivere,
ma considerando che l’elemento determinante è il lavoro come atto di corresponsabilità.
Se non c’è questa tensione, se non si avverte – appunto – che il lavoro è in qualche
modo anche missione, per tutti!, credo che sia difficile andare a cambiare la realtà.
D.
– Perché in Italia il lavoro non conta niente, come lei ha detto in un’intervista?
R.
– Perché si discute di economia in forma astratta, si discute di riforme istituzionali,
si discute dei tagli, ma del tema che un giovane su tre è disoccupato – peraltro,
dato record in Europa! –, che ci sono decine, anzi: centinaia di migliaia di famiglie
che in questa situazione hanno perso la speranza di vita, non si parla. Ora, il lavoro
non è soltanto il reddito, è anche la dignità! Non c’è una tensione della politica:
noi cercheremo anche di provocarla, in questi giorni; non c’è una tensione della politica
intorno alla questione del lavoro, cioè a come costruire nuovo lavoro, a come promuovere
nuove politiche che attivino il lavoro. Credo, infatti, che il tema del lavoro ed
in particolare il lavoro, sia per i giovani la grande emergenza dell’oggi: le parole
di Papa Benedetto a Madrid le abbiamo ancora tutti nelle orecchie! (gf)