Violazioni di diritti umani in Siria, la denuncia di Amnesty International
In migliaia ieri - primo giorno di festa per la fine del Ramadan - hanno sfidato il
regime siriano in diverse località del Paese, nonostante il massiccio dispiegamento
di milizie fedeli al presidente Bashar al Assad. Almeno 7 civili sono stati uccisi
negli scontri tra oppositori e forze di sicurezza nella regione meridionale di Daraa
e a Homs, a nord di Damasco. Sul piano diplomatico, l’Unione europea assicura che
entro sabato prossimo saranno formalizzate le sanzioni contro la Siria in ambito petrolifero.
Intanto, Amnesty International ha pubblicato un rapporto che elenca oltre 1.800 vittime
e denuncia la gravissima condizione di detenzione degli oppositori. Stefano Leszczynski
ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International–Italia.
R. - L’elenco
con nomi e cognomi dei manifestanti assassinati a partire da marzo è arrivato a 1.800.
Poi, la denuncia di oggi fa riferimento a torture mortali avvenute nelle prigioni
siriane; c’è il dettaglio di 88 casi, il tutto in un clima di impunità e nell'assenza
di un'azione della comunità internazionale.
D. - Come mai questa impotenza
della comunità internazionale di fronte a un caso drammatico come quello della Siria?
R.
- Quello che dicono gli analisti, in modo naturalmente distaccato, è che se in Libia
c’era e c’è il petrolio e Gheddafi era una fonte di instabilità, in Siria il petrolio
non c’è e Assad è una fonte di stabilità.
D. - Esportazione di armi
e depositi finanziari: quali sono i Paesi che hanno interessi in Siria in questo senso?
R.
- Se vediamo qual è l’operato all’interno del Consiglio di sicurezza e scopriamo che
ogni volta che si cerca di fare qualcosa ci sono Russia e Cina che bloccano, è evidente
che questi due Paesi hanno relazioni dirette col governo della Siria, anche per una
eredità di natura politica e di alleanza politica con il regime di Damasco. In generale,
la Siria è un Paese con il quale si fanno pochi affari, ma c’è una sensibilità politica
nel lasciar fare il regime del presidente Assad per paura di un effetto domino che
intacchi la stabilità della regione.
D. - Tra l’altro la repressione
in Siria ha provocato anche fortissimi flussi di rifugiati che hanno coinvolto tutti
i Paesi confinanti?
R. - Noi abbiamo intervistato alla frontiera del
Libano, alla frontiera della Turchia - giacché ad Amnesty International non è consentito
entrare in Siria - una percentuale notevole delle migliaia di profughi che hanno lasciato
il Paese, alcuni dei quali sono arrivati con molta fortuna oltre confine perché sono
stati seguiti dai cecchini che sparavano alle loro spalle fino a quando non hanno
attraversato la frontiera. Naturalmente, Turchia e Libano hanno dato ospitalità ma
con tutte le difficoltà legate al fatto che questi Paesi non hanno né una tradizione,
né attrezzature per poter gestire grandi flussi di profughi.
D. - La
situazione siriana è drammatica adesso ma in passato è stata altrettanto difficile
per gli oppositori al regime?
R. - Dura da decenni. Quello che fa impressione
e che abbiamo denunciato oggi in questo nuovo rapporto è che se negli anni passati
si segnalavano circa cinque decessi in carcere ogni anno, in pochi mesi, da aprile
all’agosto di quest’anno, Amnesty International ne ha riscontrati 88. Quindi evidentemente
c’è un’escalation molto preoccupante di violazioni dei diritti umani. (bf)