Vent'anni fa l'uccisione dell'imprenditore anti-mafia, Libero Grassi
Un imprenditore onesto e coraggioso, riferimento della rivolta contro il racket e
la pressione mafiosa. Così, in sintesi, il presidente della Repubblica italiana Giorgio
Napolitano, nel messaggio ai familiari di Libero Grassi, ucciso 20 anni fa a Palermo
dalla mafia. Il capo dello Stato ha anche auspicato una sempre più ampia mobilitazione
della coscienza civile e diffusione della cultura della legalità. In questi giorni,
molte sono le iniziative per ricordare Libero Grassi. Massimiliano Menichetti
ha chiesto un suo profilo a Valerio D’Antoni, tra i fondatori del movimento
“Addio Pizzo”:
R. – Era
un imprenditore illuminato, che voleva vivere la sua attività d’impresa normalmente.
Non accettava e non tollerava la mafia come anche le famiglie mafiose che, all’epoca,
controllavano il territorio in cui esisteva la sua azienda. Questa scelta è stata
fatta in un contesto di indifferenza, di totale connivenza con il sistema mafioso,
e quindi è rapidamente diventato un facile bersaglio per quella stessa mafia che l’ha
poi crudelmente ucciso nel 1991.
D. – A distanza di 20 anni c’è una
consapevolezza diversa?
R. – E’ stato fatto tantissimo. Prima di tutto
c’è stata un’inarrestabile attività di repressione da parte di tutte le forze dell’ordine.
Il problema del pizzo e del racket non è stato più avvertito come un problema riguardante
soltanto gli estorsori e le vittime, ma è diventato un problema di tutta la città.
Abbiamo cercato in tutti i modi di far capire che questo è un problema che riguarda
tutti. Se tutti i cittadini, i semplici consumatori, sono indifferenti rispetto a
questo tipo di problema, parte dei soldi che si utilizzano anche solo per fare la
spesa, per acquistare i prodotti più elementari, va a finire nelle casse della mafia.
D.
– Sul territorio, però, molti ancora pagano il pizzo...
R. – Ovviamente
la strada da percorrere in questo senso è ancora lunga. Si tratta di un problema sociale.
Anzi, è prima di tutto un problema culturale. Ci sono dei segnali positivi che provengono
dalle associazioni di categoria, da Confindustria a Confcommercio, con la quale abbiamo
iniziato un percorso. Ci sono 150 negozi ed imprese nella sola città di Palermo aderenti
a Confcommercio che hanno sposato il movimento antiracket ed il consumo critico di
“Addio Pizzo”. Lavoriamo giorno dopo giorno proprio per questo.
D. –
Ma chi denuncia è poi sostenuto dallo Stato oppure, anche qui, bisogna fare di più?
R.
–La persona che oggi paga condivide quelle logiche di potere ed è sottomessa ad esse:
accetta che la mafia controlli il territorio perché così si ha una certa convenienza
in termini di sicurezza, di protezione e di serenità. Oggi ci sono tutti gli strumenti
per far sì che un imprenditore possa uscire tranquillamente da questo “momento critico”
ed in più, rispetto al passato, c’è il consenso di centinaia e centinaia di persone.
La campagna di consumo critico, elaborata dal comitato “Addio Pizzo”, conta da una
parte più di dieci mila consumatori e dall’altra circa 700 imprese che aderiscono
al movimento. Oggi un negoziante o un imprenditore che decide di denunciare ha sicuramente
dalla sua parte degli strumenti legislativi ed istituzionali, ma sa anche che una
buona fetta della cittadinanza – che cerca di diventare sempre più numerosa - è dalla
sua parte. (vv)