2011-08-26 11:25:14

L'Unione Africana si mobilita contro la fame in Somalia, Etiopia e Kenya


Dopo le critiche per la lentezza nella risposta alla crisi del Corno d’Africa, i Paesi membri dell’Unione Africana si sono riuniti ieri ad Addis Abeba per raccogliere fondi per far fronte alla carestia che ha colpito 13 milioni di persone tra Somalia, Kenya, Etiopia e Gibuti. Secondo l'Onu sono necessari almeno due miliardi e 400 milioni di dollari: finora solo il 58 per cento di questa cifra è stato promesso dai Paesi donatori. Perché questa lentezza nella risposta della comunità internazionale, soprattutto da parte dei Paesi africani? A Francesca Sabatinelli risponde Marco Bertotto, direttore di Agire, network di nove Ong attive nel Corno d’Africa.RealAudioMP3

R. – C’è stata una lentezza generale di tutti i Paesi donatori. Lentezza in parte giustificata anche da una situazione globale difficile, dalla crisi dei debiti sovrani che ha reso soprattutto alcuni Paesi particolarmente restii ad intervenire in tempi rapidi. I Paesi africani sono rimasti indietro e l’iniziativa della Conferenza dei donatori, organizzata dall’Unione Africana ad Addis Abeba, cerca proprio un coinvolgimento dei Paesi della regione.

D. – Le varie Ong che fanno parte di “Agire” sono dislocate in vari punti dei Paesi coinvolti. Qual è, attualmente, la situazione che si presenta più drammatica?

R. – Ci sono diverse situazioni di particolare difficoltà, specialmente nei campi ai confini tra la Somalia e l’Etiopia e tra la Somalia ed il Kenya, dove c’è un congestionamento di presenze, di grandi numeri di persone che sono fuggite e continuano a fuggire dalla Somalia. Lì ci sono condizioni particolarmente difficili da gestire, soprattutto dal punto di vista sanitario come anche della distribuzione dell’acqua potabile e del cibo. C’è una situazione drammatica anche in Somalia, laddove alle problematiche della carestia – che le Nazioni Unite hanno formalmente dichiarato in alcune regioni dell’area centro-meridionale del Paese - si aggiunge anche una difficoltà di accesso per gli operatori sanitari. La sicurezza rimane estremamente precaria, e quindi la possibilità di mettere in piedi delle operazioni su vasta scala è ancora limitata. Il rischio maggiore è che quest’emergenza umanitaria nel Corno d’Africa venga assorbita da un’idea che si rischia di trasmettere di quest’emergenza, ossia che si tratti della classica crisi alimentare in un Paese che è ciclicamente sottoposto a situazioni di siccità e che quindi, in qualche modo, è una crisi sulla quale è impossibile intervenire in maniera efficace. Ma non è così. Il nostro sforzo - ed anche quello delle organizzazioni umanitarie - nella comunicazione di questa crisi è proprio quello di trasmettere l’idea che siamo di fronte ad un disastro di vastissime dimensioni su cui è impossibile non fare qualcosa, ed è perciò indispensabile intervenire con gli strumenti e le risorse che occorrono per salvare delle vite umane. (vv)







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