2011-08-24 15:21:12

Somalia: gli aiuti non raggiungono l’intero Paese. Appello di mons. Bertin alla diaspora somala


Emergenza umanitaria in Somalia, da 20 anni afflitta da una guerra intestina e colpita dalla carestia. Grazie alla mobilitazione internazionale sono state stanziate somme di denaro e sono partite derrate di viveri e generi di prima necessità, ma resta alta la preoccupazione per le sorti di questo Paese. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio e direttore della Caritas somala:RealAudioMP3

D. – Solo negli ultimi mesi il mondo sembra aver riscoperto la gravità della situazione umanitaria in Somalia, ma la macchina dei soccorsi ha raggiunto la popolazione sofferente?

R. – In parte sì, l’ha raggiunta. E quando dico in parte intendo i rifugiati che si trovano nei campi di Dadaab, in Kenya, e a Dolo Ado nel sud-ovest dell’Etiopia ed anche a Mogadiscio, dove ci sono circa 100 mila profughi a causa della siccità che dura ormai da tre mesi. Nel centro-sud della Somalia, invece, gli aiuti arrivano un po’ centellinati. Ecco perché queste zone continuano a produrre nuovi profughi.

D. – Quale situazione abbiamo oggi, in Somalia, sul piano politico? Le presenze straniere in campo somalo stanno aiutando o complicando il quadro?

R. – Le truppe africane dell’Amisom, che si trovano lì anche per via di un mandato delle Nazioni Unite, ci stanno mettendo davvero un po’ di buona volontà. Probabilmente i diversi interlocutori internazionali dovrebbero sforzarsi di avere un approccio ancor più coordinato rispetto a quello avuto finora, un approccio che abbia il solo scopo di far rinascere lo Stato e ristabilire un po’ di sicurezza in questo Paese.

D. – Ma che cosa impedisce, dopo 20 anni, di avere un qualche governo democratico?

R. – Direi proprio questi 20 anni, perché in questo periodo la gente si è in un certo senso abituata. I poveri si sono abituati a mendicare, a chiedere aiuto, ed i più furbi, invece, hanno preso l’abitudine di approfittare di questo stato di cose, di questa mancanza dello Stato, per portare avanti i propri scopi. Sono questi 20 anni il vero ostacolo: hanno generato un certo tipo di economia, di sopraffazione, di dominio gli uni sugli altri di cui è difficile disfarsi. Bisogna avere quindi un altro approccio, che però è difficile da inventare.

D. – Quindi, per una soluzione, si ha inevitabilmente bisogno di un aiuto esterno...

R. – Chiaramente. Se penso all’aiuto esterno mi viene in mente soprattutto la diaspora somala: ci sono moltissimi somali sparsi in tutto il mondo. Direi addirittura che è la parte migliore quella che è fuggita dalla Somalia. Quello che lamento è che finora questa diaspora somala mi è sembrata poco coordinata e forse anche un po’ prigioniera di quelle divisioni interne allo stesso Paese.

D. – La Chiesa che cosa riesce ed è riuscita a fare in questa situazione?

R. – Ultimamente l’intervento del Santo Padre ha attirato l’attenzione sulla drammatica situazione somala e poi abbiamo anche riprovato, attraverso organizzazioni cattoliche, a vedere se era possibile un dialogo politico. Ora non posso fare dei nomi, ma ho rilanciato questo tentativo proprio di recente. Questo è ciò che è stato fatto per quanto riguarda la ricostruzione dello Stato, che fa comunque parte del contesto politico. Nel campo umanitario, invece, in questi 20 anni abbiamo continuato, in modi diversi, a sostenere la popolazione e, in questi ultimi due mesi, si è chiaramente accentuata la presenza delle nostre organizzazioni cattoliche, in particolare della Caritas, nei campi dei rifugiati. Più difficile si presenta la situazione in Somalia, vista la sensibilità religiosa verso la quale potremmo avere dei grandi problemi. In questo momento lavoriamo in modo discreto e lavoriamo soprattutto attraverso delle associazioni locali o delle persone che, nel caso di "Caritas Somalia", hanno una relazione con noi da 20 anni.

D. – E’ comunque necessario che i riflettori della Comunità Internazionale restino accesi sulla Somalia...

R. – Certamente, ma bisogna che non si accontentino di commuoversi vedendo il povero bambino ridotto alla fame ma che riflettano, si pongano una domanda sul perché si sia arrivati a questo punto. Questa mancanza di coesione, questa volontà alquanto fiaccata nell’affrontare il discorso politico non è semplicemente una conseguenza naturale della siccità, ma è una conseguenza umana.

D. – Quindi non possiamo continuare a lasciare questo Paese in balia di se stesso, dell’anarchia e dell’arbitrio...

R. – Esattamente. (vv)







All the contents on this site are copyrighted ©.