Donna "suicida" dopo aver testimoniato contro la 'Ndrangheta. Intervista con don Cozzi
Sono in corso le indagini della Procura di Palmi, in Calabria, per far luce sul presunto
suicidio di Maria Concetta Cacciola, 31 anni, morta sabato dopo aver bevuto acido
muriatico. La donna aveva testimoniato, lo scorso maggio, contro una delle famiglie
più potenti della 'Ndrangheta calabrese. La donna, dal 10 agosto, aveva scelto di
interrompere il programma di protezione e tornare a Rosarno, in Calabria, dai suoi
figli. Quindi, il suicidio. Ad aprile, un caso analogo, quello di una donna toltasi
la vita ingerendo acido solforico dopo aver collaborato con la giustizia. Intanto,
é in crescita il numero di collaboratori che rinunciano alla protezione perché si
sentono abbandonati dallo Stato, come spiega don Marcello Cozzi, tra i responsabili
dell'associazione "Libera", che al microfono di Linda Giannattasio commenta
il tragico caso di Rosarno:
R. – Lei
fa un gesto coraggioso, si smarca da una famiglia che aveva quei legami, fa dichiarazioni
importanti, ha tre figli… Il nostro interrogativo è: perché una persona che fa un
gesto così coraggioso poi all’improvviso si toglie la vita? Deve essere successo qualche
cosa. Non possiamo fare altro che aspettare quello che ci diranno gli investigatori.
Vorremmo capire per quale motivo i figli erano rimasti lì, considerando che aveva
fatto poi dichiarazioni importantissime, con tanto di riscontro. Vorremmo capire se
quella di andare via è stata soltanto una scelta della mamma e se il fatto di andare
via sia stato in via provvisoria oppure in modo definitivo. Quando si manda via una
persona in località protetta, in modo ufficiale, lo si fa cautelando i congiunti più
stretti.
D. – Questa donna ha scelto una modalità atroce per togliersi
la vita. Questo secondo lei che significato ha?
R. – Si è tolta la vita
in un modo così brutale, così violento, anche con una sofferenza indicibile perché
togliersi la vita con l’acido muriatico è davvero andare incontro a una sofferenza
atroce: se questo è stato un gesto spontaneo vuol dire che è una forte denuncia nei
confronti di una politica che non è granché attenta nei confronti di queste persone;
se invece non è stato un gesto spontaneo deve far riflettere nello stesso modo perché
allora vuol dire che avremmo a che fare con un mostro a sette teste, cioè vale a dire
un mostro - la Mafia, la ’Ndrangheta - che non lascia scampo a coloro che intendono
abbandonare le sue file.
D. – Cosa bisogna fare?
R. –
Stiamo lottando tantissimo per confiscare i beni ai mafiosi. Il bene principale che
possiamo confiscare ai mafiosi sono le persone. Intanto non bisogna mai scoraggiarsi
nel dire a queste persone che il passo verso la denuncia va fatto perché è un riscattare
la propria esistenza, la propria vita; dall’altro lato, però, non bisogna nemmeno
fermarsi nel denunciare quelle situazioni di abbandono istituzionale al quale spesso
vanno incontro queste persone. Dobbiamo davvero fare da pungolo alle istituzioni dello
Stato perché dobbiamo far capire che abbiamo a che fare con persone che hanno fatto
scelte coraggiose e che adesso vanno accompagnate in queste scelte, al di là del fatto
che alcune di loro abbiano compiuto sbagli nella propria vita. (bf)