Siria, nuove azioni di repressione del dissenso in diverse località. Il presidente
Assad viola la promessa circa la sospensione dell’offensiva
Forze di sicurezza ed esercito sono tornati in azione anche in Siria, all’indomani
dell’uccisione di diversi civili. In molte località del Paese, sono stati condotti
arresti, è stato aperto il fuoco contro le case, sono state occupate le piazze dei
principali centri della rivolta. Ieri sera, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon,
aveva apertamente accusato il regime del presidente, Bashar al-Assad, di non aver
rispettato le promesse circa la sospensione dell’offensiva contro i civili. Di oggi,
una tornata di nuove sanzioni da parte dell’Unione Europea. C’è chi non esclude che
la cosiddetta “onda libica” arrivi anche a Damasco. Per i manifestanti la speranza
è che dopo l’uscita di scena Gheddafi possa essere il turno di Assad. Lo esclude Antonino
Pellitteri, docente di storia dei Paesi islamici all'Università di Palermo. Francesca
Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – Non
credo molto a queste “onde d’urto”. La Siria non è la Libia, per via del suo ruolo
regionale, per la sua storia e per la sua cultura. Penso che l’ultimo discorso di
Bashar al-Assad sulla formulazione di una nuova Costituzione sia un fatto positivo.
Pochi minuti fa, ho parlato con alcuni amici a Damasco e avevano preso molto bene
quest’iniziativa del presidente. Non credo ci possa essere un’onda d’urto dovuta alla
situazione in Libia.
D. – Se ci dovessero essere, come ci si augura,
delle evoluzioni in positivo, quali potrebbero essere le mosse di Assad ed anche della
comunità internazionale?
R. – Credo che la comunità internazionale,
in questo momento, sia molto impegnata sulla questione libica. L’Occidente guarda
alla Siria in maniera diversa, nel senso che l’interesse non è quello economico ma
quello più strettamente politico, relativo alla sua posizione nella regione, ai rapporti
con Israele, alla Palestina, e a tutto quello che riguarda l’area. Non so se si continuerà
a guardare alla questione siriana con la vecchia posizione dell’Occidente o se, invece,
l’Occidente cercherà di favorire un accordo interno al Paese. Accordo cui seguirebbe
una risistemazione dell’area in modo più equilibrato, onde evitare nuove insorgenze
rivoluzionarie come in Egitto o altrove.
D. – Resta però il fatto che
se per Gheddafi è stato spiccato un mandato di cattura per crimini contro l’umanità,
questo non è finora accaduto per Assad e l’Onu ha contato, finora, 2.200 morti tra
i civili…
R. – Questo dimostra come la posizione internazionale nei
riguardi della Siria sia un po’ diversa. Dimostra che l’Occidente guarda con più attenzione
e più moderazione alla questione siriana, anche perché una Siria priva di una guida
e di una ricomposizione interna sarebbe difficilmente prevedibile.
D.
– Che sono, oggi, i timori per la Libia…
R. – Sì, anche lì. Solo che
in Libia c’è già un Consiglio Transitorio, ci sono delle personalità politiche abbastanza
note in Occidente – come Mahmoud Jibril – mentre in Siria gli elementi di spicco dell’opposizione
si conoscono molto poco, a parte i Fratelli Musulmani ed altri movimenti islamici
radicali. Non si conosce bene quello che potrà essere il futuro della Siria. Finora
si è caratterizzata come un Paese “laico”, con un sistema islamico abbastanza complesso
e quindi, per l’Occidente, è una garanzia di risposta verso gli elementi e i gruppi
islamici più radicali e intransigenti. (vv)
Turchia, nuovi attacchi
nel Kurdistan iracheno È tra i 90 e i 100 guerriglieri curdi del Pkk uccisi
e circa 80 feriti, il bilancio dei raid dell’aviazione turca nel nord dell’Iraq.
Lo ha reso noto un comunicato del comando generale delle Forze armate di Ankara, secondo
cui le operazioni lanciate nel Kurdistan iracheno la scorsa settimana hanno colpito
132 bersagli in sei giorni di raid aerei. Le operazioni militari continueranno, aggiunge
la nota. Ahmed Denis, un portavoce del Pkk nel Kurdistan iracheno, ha detto che se
gli attacchi continuano "sarà guerra totale contro la Turchia". Il portavoce del Pkk
ha detto inoltre di temere un'offensiva di terra.
Medio Oriente Nuovi
lanci di razzi dalla striscia di Gaza, nonostante la tregua tra Hamas e lo Stato ebraico.
Nella notte quattro Qassam sono stati lanciati contro il territorio israeliano, senza
causare vittime. In mattinata, è tuttavia tornata la calma con Hamas che, da parta
sua, ha accentuato la presenza delle proprie forze di sicurezza nelle strade, a scopo
di dissuasione. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha disposto
intanto un nuovo rinvio “sine die” delle elezioni municipali in programma nei Territori
a ottobre.
Sud Sudan Difficoltà per il nuovo Stato del Sud Sudan,
indipendente da Karthoum dal luglio scorso. Da diverse settimane infuriano violenze
tribali, che – secondo fonti Onu – solo nell’ultima settimana hanno provocato almeno
600 morti e mille feriti. Nei giorni scorsi, le Nazioni Unite hanno dislocato sul
terreno centinaia di caschi blu proprio per prevenire possibili violenze. Ma che cosa
c’è all’origine di questi scontri tra etnie locali? Giancarlo La Vella lo ha
chiesto ad Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dei Paesi africani all’Università
di Torino:
R. - Si tratta
di un fenomeno che è una costante nei Paesi africani, non soltanto nel Sud Sudan.
Le popolazioni africane usano la razzia e la guerra a scopo di rapina per integrare
le loro risorse e questo perché praticano economie di sussistenza particolarmente
fragili, che hanno una capacità produttiva limitatissima. Ciò lo si deve alle tecnologie
in uso molto elementari: basti pensare che non c’è neanche il minimo controllo delle
acque e quindi bestiame e raccolti dipendono dalla regolarità delle piogge.
D.
– C’è anche una difficoltà da parte delle tribù locali ad identificarsi in quella
che è l’auspicata nuova unità del Paese?
R. – Quello che sta succedendo
nel Sud Sudan, ed era inevitabile che accadesse, è che alcune vie hanno preso il sopravvento
e hanno il controllo dell’apparato statale. Questo è un problema che il Paese dovrà
risolvere e se non ci riuscirà saranno problemi grossi. Uno squilibrio di questo genere
naturalmente non può che indisporre chi si sente ai margini e chi di fatto lo è, perché
purtroppo in Africa chi detiene il potere lo esercita prima di tutto nell’interesse
del proprio clan, del proprio gruppo etnico.
D. – All’origine, non c’è
secondo lei anche una responsabilità della comunità internazionale che doveva supportare
lo sviluppo concreto del nuovo Stato?
R. – A me sembra che la responsabilità
maggiore sia nel sottovalutare sempre questo genere di problemi. Senza uno sviluppo
economico, reale e sostenibile e quindi duraturo, fenomeni di questo genere non potranno
scomparire. Senza il passaggio a un’economia moderna, le economie di sussistenza continueranno
a richiedere un’integrazione che consiste nell’appropriarsi dei beni prodotti da altre
comunità. Ma non soltanto dei beni, addirittura della popolazione giovane delle etnie
vicine: quindi rubando il bestiame, ma addirittura sottraendo regolarmente i bambini
alle comunità vicine. (bf)
Borsa: effetto Libia rianima mercati L’"effetto
Libia" ha rianimato ieri i mercati. Anche oggi le borse mondiali guadagnano terreno
con i listini asiatici che hanno chiuso tutti in positivo e quelli europei che a metà
seduta portano tutti il segno più. Premiati i titoli e energetici e quelli delle società
maggiormente esposte con il Paese nordafricano: +6% per Eni.
Caso Strauss
Khan: chiesta archiviazione Dovrebbe chiudersi in giornata il caso dell’ex
capo del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn, accusato di stupro
negli Stati Uniti da una cameriera d’albergo. La procura di Manhattan ha chiesto l’archiviazione
e appare probabile che nell’udienza odierna il giudice accoglierà la proposta.
Vertice
Russia- Corea del Nord E’ in programma per oggi nella città siberiana di Ulan-Ude
l’incontro tra il presidente russo, Dmitri Medvedev, e il leader nord coreano, Kim
Jong-il, giunto nella zona in treno. Al centro dei colloqui, i rapporti economici,
la cooperazione energetica e il programma nucleare di Pyongyang, dopo la sospensione
nel 2008 delle trattative a sei, a cui hanno preso parte - oltre alla Nord Corea e
alla Russia - anche la Sud Corea, gli Usa, la Cina e il Giappone. Sui rapporti tra
Mosca e Pyongyang, Giada Aquilino ha intervistato Vittorio Strada, esperto
di cultura russa:
R. – A giudicare
dal rilievo che la televisione russa ha dato nei notiziari alla visita di Kim
Jong-il, si deve dedurre che certamente ci sono interessi in gioco. In senso
generale, la politica estera russa in questa zona geopolitica è stata quella di consolidare
ed estendere l’influenza di Mosca. Tutta la politica di Putin, sostenuta naturalmente
da Medvedev, è quella di ricostituire una zona di influenza su tutta l’area dell’ex
Unione Sovietica e sulla zona limitrofa, quindi anche sulla Nord Corea.
D.
– La visita del leader nordcoreano in Russia giunge quando la Nord Corea non solo
è afflitta da un’annosa crisi economica - e negli ultimi mesi pure da forti inondazioni
- ma anche quando vede sospesi i colloqui a sei sul proprio nucleare, di fatto bloccati
dal 2008…
R. – Questo aspetto, dal punto di vista della politica internazionale
globale, è il punto cruciale. A parte il disastro interno - la situazione è cronica,
con catastrofi naturali che non fanno che peggiorare la situazione già grave di per
sé, a danno della popolazione - il problema centrale, forse, sul piano internazionale
globale è proprio quello che vede aperto un problema riguardante i rapporti tra l’America
e l’Occidente, in generale, e questo piccolo Paese che continua a mantenere un peso
superiore alle sue potenzialità, proprio per la sfida che continuamente lancia alla
comunità internazionale. In tale quadro, è da vedere poi se la Russia vorrà svolgere
insieme alla Cina un ruolo di mediazione per la questione nucleare. (gf)
Giappone,
vista del vice presidente Usa Biden Prosegue il tour in Asia del vicepresidente
americano, Joe Biden. Oggi, in Giappone, colloqui con il premier nipponico, Naoto
Kan, sulla cooperazione tra Washington e Tokyo in materia di ricostruzione nelle zone
colpite dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo scorso.
Messico, narcos In
Messico, è stato predisposto un massiccio servizio di sicurezza per sorvegliare sul
ritorno a scuola di 35 milioni di studenti, dopo l'escalation di violenza tra organizzazioni
di narcos e truppe federali. Con l'inizio dell'anno scolastico, il presidente Felipe
Calderon ha sottolineato come il ''crimine debba essere combattuto in tutti i modi''.
Così, almeno 1700 scuole del Paese considerate ad ''alto rischio'' sono state oggetto,
fin da oggi, di pattugliamenti. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 235