Libia: attacco congiunto insorti-Nato contro Tripoli
E’ cominciata nella notte a Tripoli l’operazione “Alba della sposa del mare”, la battaglia
decisiva per il futuro della Libia e di Muammar Gheddafi. L’offensiva, condotta dal
Consiglio nazionale di Transizione degli insorti con il coinvolgimento della Nato,
ha come obiettivo isolare Gheddafi nella capitale “fino alla sconfitta o alla fuga”.
Il bilancio provvisorio parla di oltre 140 vittime, tra cui una trentina soldati di
Gheddafi, che in un messaggio audio si era appellato ai suoi sostenitori perché “marcino
a milioni” e mettano fine a “questa mascherata”. Il servizio di Michele Raviart:
“L’attacco
finale a Tripoli è cominciato”, così il portavoce degli insorti, Ahmed Jibril, ha
annunciato il via alle operazioni che dovrebbero porre fine a mesi di conflitto in
Libia. I primi scontri sono avvenuti già nella notte, quando quattro esplosioni sono
state udite nel centro della città, mentre i ribelli attaccavano l’aeroporto di Mitiga
e si scontravano con le truppe del regime nel sobborgo orientale di Tajoura, dove
450 prigionieri sarebbero stati liberati da una base militare. Secondo Al-Jazeera,
gli insorti sarebbero vicini al bunker di Gheddafi, protetto dai cecchini fedeli al
Rais e avrebbero occupato la foresta di Ghadayem, una postazione strategica ad ovest
di Tripoli. “Resisteremo per mesi ed anni, ma alla fine vinceremo”, ha affermato il
figlio del Rais Saif al Islam, mentre l’ex-numero due del regime Jalloud, la cui presenza
in Italia è stata confermata dal ministro della difesa La Russa, si è appellato al
clan di Gheddafi affinché “rinneghi il tiranno”. “L’operazione durerà ancora qualche
giorno”, ha aggiunto il portavoce Jibril, che si è mostrato disposto a trattare con
Gheddafi, qualora decidesse di lasciare il Paese.
Ma in questo contesto,
è ancora realistica la possibilità che Gheddafi decida di morire combattendo, trascinando
con sé migliaia di libici? Linda Giannattasio lo ha chiesto ad Alessandro
Colombo, docente di relazioni internazionali all’Università degli Studi di Milano:
R. – Credo
che a questo punto dipenda dalla possibilità stessa che Gheddafi ha di lasciare il
Paese senza essere successivamente chiamato ad essere giudicato. Questa è l’unica
condizione alla quale Gheddafi avrebbe motivo di andarsene. Qualora Gheddafi dovesse
immaginare da un lato di non potersene andare dalla città ormai assediata o, dall’altra,
di andarsene ma essere in seguito chiamato a rispondere di quello che ha fatto davanti
ad un Tribunale internazionale o davanti ad un Tribunale in Libia, è chiaro che avrebbe
tutte le ragioni per continuare a combattere fino all’ultimo. Per evitare che il massacro
continui – perché non dimentichiamo che l’intervento umanitario fino adesso ha prodotto
una guerra civile di sei mesi! – credo che la cosa più ragionevole sia, in realtà,
proprio garantire un lasciapassare a Gheddafi. Se Gheddafi si trovasse chiusa questa
strada, allora ci dovremmo aspettare una battaglia di Tripoli e con la battaglia di
Tripoli ancora migliaia di morti. La comunità internazionale e la Nato devono decidere
se in nome della giustizia vogliono ancora qualche migliaio di morti …
D.
– Si è parlato anche di una possibile fuga del colonnello. Quale potrebbe essere la
reazione della comunità internazionale?
R. – Per la comunità internazionale,
e in modo particolare per la Nato che sostanzialmente ha preso il comando della comunità
internazionale, anche in questa occasione si aprirebbero due problemi che in realtà
gravano su questo intervento dall’inizio. Da un lato, un problema politico, cioè:
una volta posta fine al regime di Gheddafi, si tratterebbe di capire qual è effettivamente
il grado di coesione di questo Consiglio di transizione; e l’altro problema, invece,
è un problema di carattere umanitario. La missione della Nato e l’intervento della
comunità internazionale sono stati giustificati sulla base di ragioni umanitarie e
sarebbe un disastro – per la Nato e per la comunità internazionale – se i ribelli,
arrivati a Tripoli, facessero quello che la Nato ha impedito di fare a Gheddafi a
Bengasi.
D. – A livello internazionale c’è stato – di fatto – un riconoscimento
politico dei protagonisti della rivolta. Come potrebbe cambiare lo stato delle relazioni
internazionali con la Libia?
R. – Si tratta di vedere “chi” si è riconosciuto:
è questo il vero problema. Il riconoscimento c’è stato, c’è stata – da un certo momento
in poi – una sorta di corsa … Dall’altro lato non è ancora chiara la composizione
di questa variegata forza di opposizione e soprattutto non sono noti i pesi interni
delle diverse componenti. Credo che i problemi delle prossime settimane saranno due:
da un lato, vedere quali leadership emergeranno, se emergeranno leadership, perché
lo scenario peggiore, naturalmente, è quello di un collasso dello Stato libico e della
perpetuazione, quindi, al posto del regime di Gheddafi, di una specie di guerra di
“tutti contro tutti”. Dall’altro lato, si porrà un’altra questione di riconoscimento
internazionale, molto più grave e molto più imbarazzante, soprattutto per i Paesi
occidentali: si penserà al riconoscimento dello Stato palestinese … (gf)