2011-08-21 15:53:09

Libia: attacco congiunto insorti-Nato contro Tripoli


E’ cominciata nella notte a Tripoli l’operazione “Alba della sposa del mare”, la battaglia decisiva per il futuro della Libia e di Muammar Gheddafi. L’offensiva, condotta dal Consiglio nazionale di Transizione degli insorti con il coinvolgimento della Nato, ha come obiettivo isolare Gheddafi nella capitale “fino alla sconfitta o alla fuga”. Il bilancio provvisorio parla di oltre 140 vittime, tra cui una trentina soldati di Gheddafi, che in un messaggio audio si era appellato ai suoi sostenitori perché “marcino a milioni” e mettano fine a “questa mascherata”. Il servizio di Michele Raviart:RealAudioMP3

“L’attacco finale a Tripoli è cominciato”, così il portavoce degli insorti, Ahmed Jibril, ha annunciato il via alle operazioni che dovrebbero porre fine a mesi di conflitto in Libia. I primi scontri sono avvenuti già nella notte, quando quattro esplosioni sono state udite nel centro della città, mentre i ribelli attaccavano l’aeroporto di Mitiga e si scontravano con le truppe del regime nel sobborgo orientale di Tajoura, dove 450 prigionieri sarebbero stati liberati da una base militare. Secondo Al-Jazeera, gli insorti sarebbero vicini al bunker di Gheddafi, protetto dai cecchini fedeli al Rais e avrebbero occupato la foresta di Ghadayem, una postazione strategica ad ovest di Tripoli. “Resisteremo per mesi ed anni, ma alla fine vinceremo”, ha affermato il figlio del Rais Saif al Islam, mentre l’ex-numero due del regime Jalloud, la cui presenza in Italia è stata confermata dal ministro della difesa La Russa, si è appellato al clan di Gheddafi affinché “rinneghi il tiranno”. “L’operazione durerà ancora qualche giorno”, ha aggiunto il portavoce Jibril, che si è mostrato disposto a trattare con Gheddafi, qualora decidesse di lasciare il Paese.

Ma in questo contesto, è ancora realistica la possibilità che Gheddafi decida di morire combattendo, trascinando con sé migliaia di libici? Linda Giannattasio lo ha chiesto ad Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali all’Università degli Studi di Milano:RealAudioMP3

R. – Credo che a questo punto dipenda dalla possibilità stessa che Gheddafi ha di lasciare il Paese senza essere successivamente chiamato ad essere giudicato. Questa è l’unica condizione alla quale Gheddafi avrebbe motivo di andarsene. Qualora Gheddafi dovesse immaginare da un lato di non potersene andare dalla città ormai assediata o, dall’altra, di andarsene ma essere in seguito chiamato a rispondere di quello che ha fatto davanti ad un Tribunale internazionale o davanti ad un Tribunale in Libia, è chiaro che avrebbe tutte le ragioni per continuare a combattere fino all’ultimo. Per evitare che il massacro continui – perché non dimentichiamo che l’intervento umanitario fino adesso ha prodotto una guerra civile di sei mesi! – credo che la cosa più ragionevole sia, in realtà, proprio garantire un lasciapassare a Gheddafi. Se Gheddafi si trovasse chiusa questa strada, allora ci dovremmo aspettare una battaglia di Tripoli e con la battaglia di Tripoli ancora migliaia di morti. La comunità internazionale e la Nato devono decidere se in nome della giustizia vogliono ancora qualche migliaio di morti …

D. – Si è parlato anche di una possibile fuga del colonnello. Quale potrebbe essere la reazione della comunità internazionale?

R. – Per la comunità internazionale, e in modo particolare per la Nato che sostanzialmente ha preso il comando della comunità internazionale, anche in questa occasione si aprirebbero due problemi che in realtà gravano su questo intervento dall’inizio. Da un lato, un problema politico, cioè: una volta posta fine al regime di Gheddafi, si tratterebbe di capire qual è effettivamente il grado di coesione di questo Consiglio di transizione; e l’altro problema, invece, è un problema di carattere umanitario. La missione della Nato e l’intervento della comunità internazionale sono stati giustificati sulla base di ragioni umanitarie e sarebbe un disastro – per la Nato e per la comunità internazionale – se i ribelli, arrivati a Tripoli, facessero quello che la Nato ha impedito di fare a Gheddafi a Bengasi.

D. – A livello internazionale c’è stato – di fatto – un riconoscimento politico dei protagonisti della rivolta. Come potrebbe cambiare lo stato delle relazioni internazionali con la Libia?

R. – Si tratta di vedere “chi” si è riconosciuto: è questo il vero problema. Il riconoscimento c’è stato, c’è stata – da un certo momento in poi – una sorta di corsa … Dall’altro lato non è ancora chiara la composizione di questa variegata forza di opposizione e soprattutto non sono noti i pesi interni delle diverse componenti. Credo che i problemi delle prossime settimane saranno due: da un lato, vedere quali leadership emergeranno, se emergeranno leadership, perché lo scenario peggiore, naturalmente, è quello di un collasso dello Stato libico e della perpetuazione, quindi, al posto del regime di Gheddafi, di una specie di guerra di “tutti contro tutti”. Dall’altro lato, si porrà un’altra questione di riconoscimento internazionale, molto più grave e molto più imbarazzante, soprattutto per i Paesi occidentali: si penserà al riconoscimento dello Stato palestinese … (gf)







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