2011-08-16 15:38:51

In Somalia è emergenza carestia ed istruzione: saccheggiati i convogli umanitari


Continua l’emergenza in Somalia, dove migliaia di persone sfollate cercano di sopravvivere alla siccità che sta colpendo l’intero Corno d’Africa. Le Nazioni Unite, intanto, hanno annunciato l’organizzazione di un incontro per tracciare una “road map” sul futuro del Paese e per concordare un "piano di esigenze e priorità". Si registrano ancora furti ai convogli umanitari. Ma come si è arrivati alla creazione di grandi campi profughi ai confini della Somalia? Michele Raviart lo ha chiesto a Bruno Geddo, rappresentante nel Paese dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.RealAudioMP3

R. – Gli shabab avevano tenuto le popolazioni nelle aree sotto il loro controllo – che sono la maggior parte delle regioni della Somalia meridionale – senza permettere loro di lasciare queste zone. A causa della siccità, questa situazione si è esacerbata e a giugno gli shabab hanno invertito la loro politica e hanno permesso alle popolazioni di cominciare a muoversi in modo massiccio verso il Kenya e l’Etiopia, e così abbiamo avuto questo afflusso - dalla fine di giugno ai primi giorni di luglio - che è arrivato a 1.500 persone al giorno a Dabbab, in Kenya, e che continua tutt’oggi.

D. – Oltre al grande campo di Dabbab, in Kenya, ci sono decine di campi di sfollati in tutta la Somalia…

R. – I campi, in Somalia, non sono istituzionalizzati. I campi sono delle congregazioni spontanee di sfollati che si installano su un terreno dove possono pagare un affitto al proprietario della terra e a partire dal quale possono avere accesso ad un certo volume di assistenza. Naturalmente, questa è la situazione al primo livello. Il secondo livello è quello che molte di queste persone non hanno i mezzi per avere accesso ai servizi, cercano di trovare lavoro in città e possono mendicare.

D. – Ma questa formazione spontanea dei campi profughi può favorire delle violenze interne o anche delle difficoltà nel ricevere gli aiuti umanitari?

R. – Certamente. Questo è un problema davvero molto grande poiché è proprio della cultura somala: tutto ciò che viene importato nella terra somala appartiene ai somali, anche l’assistenza umanitaria. I somali, quindi, hanno diritto ad appropriarsene. Il secondo fattore è che gli sfollati sono considerati merce di scambio: portano con loro l’assistenza umanitaria, portano un bottino che diviene automaticamente la prerogativa del clan di maggioranza della zona in cui si trovano.

D. – Tra i campi spontanei e quelli organizzati quali sono i più difficili da gestire per quanto riguarda l’aspetto degli aiuti?

R. – Su quest’aspetto devo dire che c’è un dibattito in corso alquanto difficile tra le agenzie umanitarie. Se si mettono a confronto le due situazioni, è probabilmente più gestibile una situazione di congregazioni spontanee di sfollati in cui noi andiamo a prestare servizi sulla base del bisogno che non un campo organizzato di sfollati, di dimensioni molto più grandi, in cui tutti i servizi vengono predisposti a monte, dove però ci sono comunque interessi. Interessi che non spariscono perché si tratta semplicemente di un campo organizzato, ma diventano anche molto più organizzati per sfruttare quello che loro considerano un diritto naturale.

D. – Oggi è arrivata la notizia che un carico di aiuti dell’Onu è stato rubato. Cosa si può fare, quindi, per far sì che le agenzie possano aiutare effettivamente i somali in sicurezza?

R. – Le distribuzioni di assistenza e soprattutto dei viveri – che sono quelli più attraenti, perché poi vengono immediatamente rivenduti sul mercato locale – sono molto ambite dalle milizie claniche. Mettendo insieme Amisom con i capi di sicurezza distrettuali e i capi di polizia, si dovrebbe riuscire a garantire una sicurezza d’accesso e di distribuzione per evitare che i viveri ed i pacchetti di assistenza possano essere oggetto di saccheggio da parte delle milizie. (vv)


Nel Corno d'Africa è sempre più grave anche l’emergenza istruzione


Sono oltre 1.800.000 bambini (5/17anni) che in Somalia non vanno a scuola ma questo numero potrebbe crescere drammaticamente. Ci sono più di 200.000 bambini in età scolastica che con le famiglie, a causa della carestia, hanno attraversato il confine. Questo dato – si legge nel comunicato dell’Unicef - rischia di far precipitare ulteriormente il già basso tasso di frequenza scolastica (30%) della Somalia. A questo c’è da sommare un rischioso aumento di domanda di servizi educativi nelle aree in cui si stanno stanziando gli sfollati, come Mogadiscio. Ma mancano strutture e insegnanti. I risultati indicano che le possibilità di fornire un pasto a scuola e materiali didattici, incentivi ai docenti e la presenza di spazi di apprendimento sono le priorità per fare in modo che i bambini possano accedere a opportunità di apprendimento. "L'istruzione è una componente critica di qualsiasi risposta di emergenza", ha spiegato Rozanne Chorlton, Rappresentante Unicef in Somalia. "Le scuole offrono ai bambini un luogo protetto dove imparare e accedere, se necessario, alle cure sanitarie e ad altri servizi essenziali”. “Offrire opportunità di apprendimento in un ambiente sicuro è fondamentale sia per la sopravvivenza e lo sviluppo di un bambino che per la stabilità, nel lungo periodo, e la crescita del Paese ". “E’ urgente e necessario – ricorda l’Unicef - stabilire spazi temporanei di apprendimento nei campi degli sfollati, così come definire ulteriori aree di apprendimento nelle comunità di accoglienza in cui inserire i nuovi studenti emigrati”. E’ inoltre indispensabile fornire acqua e servizi igienici, kit scolastici e materiali ricreativi a 435.000 bambini, fornire incentivi per 5.750 docenti e rafforzare il coinvolgimento dei Comitati di Educazione della Comunità. Sono in corso anche piani per fornire buoni pasto attraverso le scuole di cui potranno beneficiare gli studenti e le loro famiglie. (A.L.)









All the contents on this site are copyrighted ©.