2011-08-15 15:21:22

Corno d'Africa: le milizie islamiche di Al Shabaab lasciano Mogadiscio. Regna il caos nei campi profughi


In una Somalia devastata dalla siccità e dalla guerra civile, la situazione a Mogadiscio sembra migliorare dopo il ritiro delle milizie islamiche di Al Shabaab dalla città. Il governo legittimo, sostenuto dalla comunità internazionale, ha infatti ripreso il controllo sul principale mercato della capitale, sebbene nel resto del Paese e in tutto il Corno d’Africa sia ancora drammatico il bisogno di cibo e di aiuti. Michele Raviart ha chiesto a Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale di “Caritas Internationalis”, di fare il punto sull’emergenza umanitaria della regione:RealAudioMP3

R. – Come numeri complessivi, secondo le stime dell’Onu confermate dai governi, stiamo parlando di oltre 12 milioni di persone che sono direttamente colpite dalla siccità, e praticamente tutte sono anche in fuga: chi è sfollato interno nel proprio Paese e si sta spostando in zone meno aride, e chi invece è rifugiato in altri Paesi.

D. – Particolarmente grave è la situazione della Somalia. Lì, come stanno arrivando gli aiuti?

R. – Certamente, la Somalia è il Paese più colpito, in particolare il Sud che è la zona dalla quale proviene la maggior parte dei profughi. Qui c’è una stima che parla di oltre tre milioni; in realtà, la Somalia è il Paese per il quale da anni non ci sono nemmeno dati né numeri: è un Paese non classificato nell’indice di sviluppo umano, tanto mancano dati attendibili! Qui c’è l’aggravante della guerra, e quindi c’è anche la difficoltà di avere corridoi umanitari certi per raggiungere tutte le zone colpite: questo è il vero problema.

D. – Invece, la situazione nei campi profughi?

R. – I campi profughi sono zone infernali: penso soprattutto a quelli in Kenya e in Etiopia dove ormai sono più di quattro milioni le persone in ciascuno di questi campi. I beni primari, cioè cibo ed acqua, sostanzialmente sono garantiti. I problemi sono i rischi di epidemie e poi il problema complessivo è che purtroppo in questa situazione non si rispetta nessun tipo di leggi, il che rende il tutto ancora più invivibile. Si generano scontri tra persone, tra gruppi, con morti nei campi, con molti bambini che si ammalano, sporcizia e quant’altro. Ecco che in queste situazioni, anche la disponibilità minima di cibo e acqua non è sufficiente a salvare molte vite umane.

D. – Voi, come Caritas Internationalis, come state operando?

R. – Noi operiamo in tutte le diocesi e in tutte le zone, sia in quelle che sono un po’ i simboli di questa tragedia – e quindi i campi profughi, quelli più noti e quelli meno noti – ma anche tra tutte le popolazioni che si sono accampate in zone più destrutturate. In questo momento, sono in corso attività di fornitura di cibo, di acqua, di medicinali per un piano complessivo di 20 milioni di euro di interventi, coinvolgendo tutti gli otto Paesi colpiti e tutte le Caritas.

D. – Lo sforzo complessivo della comunità internazionale le sembra adeguato alle circostanze?

R. – Adesso ci si sta concentrando moltissimo sull’emergenza: c’è un fortissimo appello a tutte le agenzie dell’Onu, a tutti i governi … La prima risposta è stata positiva. Il problema sarà mantenere fede agli impegni presi e soprattutto impostare complessivamente la politica agricola e di sovranità alimentare di questi Paesi, perché l’aumento dei prezzi del cibo unito alla scarsità di produzione ha ricondotto alla fame un angolo di mondo che davvero non se lo meritava, perché da anni si sapeva che questa era una situazione di particolare vulnerabilità! (gf)







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