Corno d'Africa: le milizie islamiche di Al Shabaab lasciano Mogadiscio. Regna il caos
nei campi profughi
In una Somalia devastata dalla siccità e dalla guerra civile, la situazione a Mogadiscio
sembra migliorare dopo il ritiro delle milizie islamiche di Al Shabaab dalla città.
Il governo legittimo, sostenuto dalla comunità internazionale, ha infatti ripreso
il controllo sul principale mercato della capitale, sebbene nel resto del Paese e
in tutto il Corno d’Africa sia ancora drammatico il bisogno di cibo e di aiuti. Michele
Raviart ha chiesto a Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale
di “Caritas Internationalis”, di fare il punto sull’emergenza umanitaria della regione:
R. – Come numeri
complessivi, secondo le stime dell’Onu confermate dai governi, stiamo parlando di
oltre 12 milioni di persone che sono direttamente colpite dalla siccità, e praticamente
tutte sono anche in fuga: chi è sfollato interno nel proprio Paese e si sta spostando
in zone meno aride, e chi invece è rifugiato in altri Paesi.
D. – Particolarmente
grave è la situazione della Somalia. Lì, come stanno arrivando gli aiuti?
R.
– Certamente, la Somalia è il Paese più colpito, in particolare il Sud che è la zona
dalla quale proviene la maggior parte dei profughi. Qui c’è una stima che parla di
oltre tre milioni; in realtà, la Somalia è il Paese per il quale da anni non ci sono
nemmeno dati né numeri: è un Paese non classificato nell’indice di sviluppo umano,
tanto mancano dati attendibili! Qui c’è l’aggravante della guerra, e quindi c’è anche
la difficoltà di avere corridoi umanitari certi per raggiungere tutte le zone colpite:
questo è il vero problema.
D. – Invece, la situazione nei campi profughi?
R.
– I campi profughi sono zone infernali: penso soprattutto a quelli in Kenya e in Etiopia
dove ormai sono più di quattro milioni le persone in ciascuno di questi campi. I beni
primari, cioè cibo ed acqua, sostanzialmente sono garantiti. I problemi sono i rischi
di epidemie e poi il problema complessivo è che purtroppo in questa situazione non
si rispetta nessun tipo di leggi, il che rende il tutto ancora più invivibile. Si
generano scontri tra persone, tra gruppi, con morti nei campi, con molti bambini che
si ammalano, sporcizia e quant’altro. Ecco che in queste situazioni, anche la disponibilità
minima di cibo e acqua non è sufficiente a salvare molte vite umane.
D. –
Voi, come Caritas Internationalis, come state operando?
R. – Noi operiamo in
tutte le diocesi e in tutte le zone, sia in quelle che sono un po’ i simboli di questa
tragedia – e quindi i campi profughi, quelli più noti e quelli meno noti – ma anche
tra tutte le popolazioni che si sono accampate in zone più destrutturate. In questo
momento, sono in corso attività di fornitura di cibo, di acqua, di medicinali per
un piano complessivo di 20 milioni di euro di interventi, coinvolgendo tutti gli otto
Paesi colpiti e tutte le Caritas.
D. – Lo sforzo complessivo della comunità
internazionale le sembra adeguato alle circostanze?
R. – Adesso ci si sta concentrando
moltissimo sull’emergenza: c’è un fortissimo appello a tutte le agenzie dell’Onu,
a tutti i governi … La prima risposta è stata positiva. Il problema sarà mantenere
fede agli impegni presi e soprattutto impostare complessivamente la politica agricola
e di sovranità alimentare di questi Paesi, perché l’aumento dei prezzi del cibo unito
alla scarsità di produzione ha ricondotto alla fame un angolo di mondo che davvero
non se lo meritava, perché da anni si sapeva che questa era una situazione di particolare
vulnerabilità! (gf)