La Tunisia verso il voto di ottobre tra sfiducia e tensioni
La Tunisia si prepara alle prossime elezioni che, inizialmente previste a luglio,
sono slittate al 23 ottobre prossimo per motivi organizzativi. Si tratta di un momento
importantissimo per il processo istituzionale che si è aperto dopo l’uscita di scena
del presidente Ben Ali che, dopo una serie di proteste popolari in diverse città,
il 14 gennaio scorso è fuggito in esilio a Jedda in Arabia Saudita. La fase di transizione
non è semplice. Basti pensare che solo poco più di 3 milioni di persone si sono iscritte
nelle liste elettorali su 7 milioni di aventi diritto al voto, come spiega, nell’intervista
di Fausta Speranza, Cristiano Tinazzi, giornalista free lance che ha
seguito in Tunisia i mesi di ribaltamento del potere:
R. - C’è
molta disillusione: da gennaio ad oggi la Tunisia è caratterizzata da una forte crisi
economica e il turismo, che rappresenta una delle fonti principali di sostentamento
del Paese, si è ridotto del 50 per cento a causa anche della guerra in Libia, del
problema dei profughi, dei migranti e anche a causa di una certa disinformazione sul
Paese. C’è una forte crisi economica soprattutto nel Sud, dove in molte città in particolare
nella zona di confine, che vivevano di economia clandestina con la Libia, ha subito
forti ripercussioni. Ripercussioni che, peraltro, adesso si stanno modificando: è
ripreso un traffico illegale di beni di prima necessità verso la Libia e conseguentemente
nella zona di Djerba e in altre zone del Paese non si riesce a trovare acqua minerale,
zucchero, pane ed altri beni di prima necessità. Ci sono anche altre tensioni di tipo
sociale, soprattutto nel centro e nel centro-sud del Paese: sono riemersi fenomeni
tribali, che erano ormai scomparsi da 200 anni. E’ una situazione in divenire e tutti
aspetteranno di vedere cosa succederà. Il problema è che c’è una certa disaffezione:
è stata fatta sì la rivoluzione, ma probabilmente la gente non è molto convinta del
processo democratico in atto che si sta svolgendo, anche se a fatica si sta andando
avanti rispetto ad altri Paesi. Per tutto questo, quindi, c’è stata questa bassa affluenza
nelle iscrizioni.
D. - In altri Paesi - se ne parla molto per l’Egitto
per esempio - c’è la paura del fondamentalismo: in Tunisia questa paura si sente?
R.
- E’ ancora difficile da valutare. Diciamo che il partito che ha più possibilità anche
di avere un buon risultato alle elezioni è quello di H'nada,
che fino alla caduta di Ben Alì era esule in Inghilterra. H'nada
sta facendo un lavoro molto importante, soprattutto nel sud del Paese che è quello
più povero, con le organizzazioni religiose, utilizzando come base le moschee, aiutando
le fasce sociali più povere, distribuendo servizi gratuiti e facendo anche delle cose
che riscontrano un certo successo: hanno, per esempio, sostenuto una serie di matrimoni
collettivi, pagando e spesando tutto quanto c'era da pagare per questi matrimoni,
con finanziamenti soprattutto che provengono dall’estero. Per questo è stata recentemente
fatta una legge che vieta finanziamenti ai partiti dall’estero e questo ha creato
grossi problemi anche all’interno… Si sta muovendo come si sono mosse anche altre
organizzazioni. H'nada ha due facce: una presentabile, stile
partito musulmano moderno, tipo quello che può essere quello di Erdogan in Turchia;
ma, dall’altra parte, c’è una base più radicale, che ha vicinanza con il wuabinismo
saudita.
D. - Le donne, in tutto questo, come stanno vivendo? subito
dopo la rivoluzione avevano il timore di perdere anche quei diritti civili che nella
Tunisia di Ben Alì - con tutti i problemi che c’erano - erano garantiti dalla legislazione...
R.
- Le donne potevano contare su una legislazione che non aveva pari nel mondo arabo
riguardo ai loro diritti. Adesso ci sono state proteste, perché le donne vorrebbero
avere ancora di più: stanno lottando per avere soprattutto l’uguaglianza tra uomo
e donna. Ci sono, però, questi partiti e questi movimenti che vorrebbero invece limitare
il ruolo delle donne: lo stesso H'nada sta facendo delle proposte
in questo senso, dando addirittura delle pensioni alle donne affinché non vadano a
lavorare. Quindi, un ritorno un po’ al passato che probabilmente a Tunisi non attaccherà,
se non nei quartieri poveri. Tunisi è una capitale di largo respiro, che guarda spesso
ad Occidente. In altre zone, soprattutto per effetto della crisi economica, della
situazione sociale e degli scontri sociali, che ancora si verificano - spesso ci sono
blocchi stradali improvvisati, sono sorti altri sindacati che non si rifanno più al
sindacato unico presente sotto Ben Alì - le donne hanno paura che i loro diritti potrebbero
essere ridimensionati. (mg)