Nuovi aiuti del Papa per le popolazioni del Corno d’Africa
Un sostanzioso aiuto. Così monsignor Giampietro Dal Toso, segretario del Pontificio
Consiglio Cor Unum, ha definito la somma di denaro che il dicastero ha inviato ieri
in alcune diocesi del Corno d’Africa a nome del Papa. «È il segno — dice il segretario
in una intervista all’Osservatore Romano — della particolare attenzione con la quale
Benedetto XVI segue la drammatica situazione della regione e della sua sollecitudine
per le martoriate popolazioni». Un segnale forte anche per la comunità internazionale.
È di questi giorni la notizia sulla convocazione di conferenze sotto varie denominazioni
per studiare quali forme di intervento adottare. E questo è senz’altro positivo poiché
testimonia «la presenza della comunità mondiale». Ma intanto la gente muore e dunque
c’è bisogno di interventi immediati. Così come c’è bisogno di pianificare progetti
di «sviluppo che possano garantire il futuro delle nuove generazioni» e allontanare
per sempre «lo spettro della fame nel mondo». Di seguito il testo dell’intervista:
L’emergenza
nel Corno d’Africa non sembra aver fine. È proprio impossibile trovare soluzioni efficaci? La
situazione non ha ancora trovato una soluzione, anche perché oggettivamente è il risultato
di una serie di problematiche, che si condizionano a vicenda. Da una parte c’è il
problema della siccità, che ha ingenerato la carestia. Dall’altra il conflitto in
Somalia che ha provocato l’esodo di migliaia di persone verso territori già provati.
Ci sono rifugiati, che si muovono dalla propria patria verso Paesi vicini, e ci sono
sfollati interni. Ci vorrà dunque molto tempo prima che un fenomeno di questo genere
trovi soluzione. Parliamo in ogni caso di circa 4.500.000 di persone in necessità
in Etiopia e di quasi 4 milioni in Kenya. Si devono aggiungere poi i numeri della
Somalia e, anche se contenuti, di Gibuti. È sufficiente quello che sta facendo
la comunità internazionale? Credo che la cosa più importante, al di là di quanto
si sta facendo, sia non abbassare la guardia, soprattutto non farlo quando magari
sarà finito l’effetto emotivo. Alcuni dei Paesi coinvolti trascinano da anni crisi
umanitarie e politiche che hanno costretto all’azione le Nazioni Unite, le sue agenzie
e anche alcuni governi. Anche attualmente la presenza della comunità internazionale
è garantita, ma, lo ripeto mi sembra che l’attenzione debba essere tenuta desta, perché
attualmente è la crisi finanziaria a occupare la maggior parte dell’informazione.
Ma in questi Paesi, e in tanti altri nel mondo, c’è gente che muore di fame e nel
terzo millennio è inammissibile. Qual è l’azione della Chiesa per aiutare queste
popolazioni? Il Papa è stato tra i primi a sottolineare la gravità della situazione
nell’Angelus del 17 luglio scorso. Ha ribadito la necessità di intervenire per difendere
e sostenere una popolazione tanto provata. Dopo un primo aiuto per la Somalia, in
questi giorni viene inviato un aiuto a suo nome tramite Cor Unum a 5 diocesi del Kenya
e a 6 diocesi dell’Etiopia che stanno affrontando l’emergenza umanitaria con i pochi
mezzi che hanno a disposizione. In proposito è bene dire che l’azione delle istituzioni
della Chiesa in questa crisi si colloca a diversi livelli. Quello più diretto è l’accoglienza
e il sostegno alla popolazione per le sue necessità immediate. Questo lavoro è svolto
in particolare in via diretta dalle diocesi e dalle comunità locali, nonostante l’esiguità
dei loro mezzi. Ma voglio sottolineare come queste Chiese in Africa abbiano reagito
immediatamente e generosamente ai diversi bisogni. E per il futuro? Ci
sono dei programmi più articolati, elaborati da Caritas Internationalis in collaborazione
con le maggiori Caritas. Sono in via di definizione e comportano un impegno economico
di alcuni milioni di dollari. Poi ci sono gli interventi di tanti organismi cattolici
di minori proporzioni, che sono tuttavia presenti nei luoghi dell’emergenza. Infine
non dobbiamo dimenticare i tanti cattolici che offrono del loro denaro, ma anche la
loro preghiera, per i loro fratelli in necessità nel Corno d’Africa. A noi giungono
quotidianamente attestazioni di vicinanza verso chi sta soffrendo questa grave crisi.
Come giudica la gente l’impegno della Chiesa? La presenza della Chiesa
in queste regioni non si limita all’immediatezza dettata dall’emergenza o dai bisogni
primari. La sua è una presenza permanente nel tempo. Sarà forse per questo che essa
gode della fiducia della popolazione. E poi non si fa nulla senza la partecipazione
dei destinatari stessi del sostegno. Normalmente infatti i nostri programmi di aiuto
sono realizzati in collaborazione con le autorità civili. Quali sono le esigenze
primarie alle quali fa riferimento? A parte le questioni sociali strutturali,
direi che la priorità è sempre dettata dalle situazioni contingenti. Dai rapporti
che ci arrivano, posso dire che in questa fase dobbiamo pensare all’essenziale: cibo,
acqua, kit sanitari, accoglienza nei campi di raccolta e di assistenza. Restando ai
Paesi del Corno d’Africa il bisogno primario è senza dubbio l’assistenza a chi soffre
letteralmente per la fame provocata dalla carestia dovuta alla siccità. È il vero
dramma da affrontare in questo momento per soccorrere la popolazione locale. Quando
secondo lei si potrà tirare un sospiro di sollievo? Impossibile fare previsioni.
Le posso solo dire che siamo fiduciosi che la collaborazione di tanti e l’attenzione
delle autorità internazionali potranno contribuire ad alleviare tanta sofferenza.
La Chiesa, come sempre, fa e continuerà a fare la sua parte in maniera attiva. Siamo
nelle mani del Signore.