Si apre questa sera a Pesaro il Rossini Opera Festival, dedicato al 150.mo dell’Unità
d’Italia. In cartellone tre produzioni liriche, concerti di belcanto, un Barbiere
di Siviglia in forma di concerto eseguito nella nuova edizione critica di Alberto
Zedda, direttore artistico del festival, che ne sarà anche direttore: un cartellone
intenso e bellissimo fino al 23 agosto. Il servizio di Luca Pellegrini:
(musica)
Chi
ama Rossini lo sa bene che nel mese di agosto non può mancare il Rossini Opera Festival,
appuntamento che da trentadue anni catalizza l’attenzione del mondo musicale internazionale
e degli appassionati d’opera, che giungono da ogni continente. E per trentadue volte
il sovrintendente Gianfranco Mariotti vive l’ansia dell’attesa.
Quale significato ha per lei questa inaugurazione?
“La prosecuzione
di un discorso in cui siamo riusciti a rimanere noi stessi pur evolvendo continuamente:
non abbiamo mai fatto due edizioni uguali; non abbiamo mai smarrito il senso del cammino”.
Il titolo scelto per l’apertura è una nuova produzione di “Adelaide
di Borgnogna”: anche lei, come tutti, assai curioso di ascoltare e vedere messa in
scena questa rarità rossiniana:
“E’ un’opera deliziosa su cui grava
un ingiusto giudizio del pubblico dell’epoca. E’ un’opera piena di poesia. E’ una
musica anche molto orecchiabile, molto cantabile: c’è un clima di amor cortese. E’
un’opera seria, ma la lettura che ne diamo noi, nella messa in scena di Pier’Alli,
è una lettura divertita e disincantata, che rispetta l’argomento, rispetta anche la
collazione antica della vicenda, ma la legge con occhio affettuoso, un po’ ironico.
Sintetizzerei come un’opera seria che non si prende sul serio”.
Domani
sera, invece, Mosè in Egitto con la regia di Graham Vick, uno spettacolo che già si
annuncia aspro, forte, attuale…
“Se non vogliamo che l’opera muoia
deve essere declinata secondo i criteri di giudizio di uno spettatore moderno, che
non vuol però dire attualizzare per forza le vicende. Significa leggerle, anche lasciandole
nel loro contesto, con l’occhio di uno spettatore di oggi. Questo spettacolo di Graham
Vick è un grande, tragico grido di dolore; è un affresco contro la guerra ideologica
senza tregua e quindi il terrore, la violenza che infiamma da sempre il Medio Oriente,
dove i popoli si affrontano con ruoli alternativamente di oppresso e di oppressore:
tutti convinti di avere Dio dalla loro parte e dove i ruoli sono continuamente rovesciati.
Vick dimostra che si può raccontare la storia di Mosè che porta in salvo il suo popolo,
usando anche modelli visivi ed ideologici dell’attualità, della cronica, oltre che
della storia. Si tratta di una denuncia di un male che è endemico e che appartiene
a tutti. (mg)