Sulle questioni etiche, obiezione di coscienza a rischio: la riflessione del giurista
Carlo Cardia
Negli Stati Uniti, i vescovi hanno lanciato l’allarme sull’obiezione di coscienza
degli operatori sanitari, messa a rischio da alcune disposizioni del Ministero della
Sanità in materia di aborto. Una preoccupazione che l’episcopato Usa aveva già espresso
al momento del dibattito sulla riforma sanitaria, due anni fa. Del resto, quello che
una volta era considerato un diritto intangibile è oggi messo in discussione in molti
Paesi e organismi sovranazionali dell’Occidente. Alessandro Gisotti ne ha parlato
con il prof. Carlo Cardia, docente di diritto ecclesiastico all'Università
Roma Tre:
R. – Il 7
luglio, la Corte di Strasburgo – la Grande Chambre – ha ribadito che l’obiezione di
coscienza al servizio militare rientra tra i diritti umani fondamentali. Ricordo questo,
perché noi stiamo andando verso una deformazione gravissima dell’obiezione di coscienza,
cioè stiamo creando – in Occidente – un doppio binario: un’obiezione di coscienza
riconosciuta come diritto di chi fa questa scelta per il servizio militare; poi abbiamo
un secondo binario, in cui si sta erodendo, giorno dopo giorno, l’obiezione di coscienza
– sempre per motivi ideali e religiosi – in materie etiche fondamentali che riguardano
la vita. Io ricordo il caso più clamoroso – inglese – in cui praticamente si obbligavano,
anzi, si obbligano, le istituzioni confessionali, le istituzioni cattoliche, anglicane,
ebraiche eccetera, ad affidare i bambini piccoli anche a coppie non eterosessuali.
Noi siamo di fronte ad uno strabismo che non ha nessuna motivazione logica – attenzione!
– prima che giuridica. Perché, se obiezione di coscienza dev’essere, dev’essere riconosciuta
per tutti coloro che hanno un valido motivo ideale e religioso.
D. –
Si può dire, allora, che il problema non è tanto l’obiezione di coscienza quanto quei
valori non negoziabili, cioè vita, famiglia e educazione?
R. – Si può
dire che l’obiezione di coscienza viene utilizzata strumentalmente quando fa comodo;
quando, invece, ci si trova di fronte a questi valori fondamentali, l’obiezione di
coscienza non viene più considerata un diritto, non viene più inserita nei diritti
umani e, nel caso degli Stati Uniti, viene declassata addirittura con normative amministrative.
Quindi, due pesi e due misure che non hanno alcuna giustificazione se non in quel
relativismo che fa un po’ troppo comodo!
D. – Gli Stati Uniti, l’Europa
ma anche l’America Latina dove si assiste a tentativi di limitazione dell’obiezione
di coscienza: si può dunque dire che questo atteggiamento, che lei una volta definì
“anti-umanista”, sta guadagnando terreno?
R. – Sì, sta guadagnando terreno
insieme ad un altro fenomeno, che è quello del riconoscimento di diritti laddove un
tempo si diceva fossero il minor male. Piano piano si sta parlando dell’aborto come
“diritto della persona”: questo è un passo che ufficialmente ancora non è stato fatto,
però tutti questi declassamenti dell’obiezione di coscienza in materia etica, relativa
alla vita, vogliono dire che si ha un ritorno indietro rispetto agli stessi postulati
della cultura occidentale che ha sempre riconosciuto che l’aborto è un dramma, è un
male minore. Oggi lo si sta trasformando in un diritto. Questo è un po’ l’aspetto
strisciante che sta modificando la mentalità – direi, la cultura – in alcune parti
dell’Occidente. (gf)