Siria. I Paesi arabi contro Damasco: Assad sempre più solo
In Siria prosegue anche stamani l'offensiva militare delle truppe governative di Damasco
contro la città orientale di Dayr az Zor. Oggi non si hanno notizie precise di vittime,
ieri invece erano almeno una sessantina i caduti. Intanto il segretario generale dell’Onu
Ban Ki-moon ha rinnovato l’appello al presidente siriano affinché cessi le violenze
contro i civili mentre l'Arabia Saudita e il Kuwait hanno richiamato i loro ambasciatori
e la Lega Araba ha chiesto ad Assad di porre fine agli scontri. Oogi anche la presigiosa
università sunnita di Al-Azhar del Cairo è intervenuta affermando che il governo siriano
ha oltrepassato il limite. Da parte loro gli Usa chiedono alla Turchia di fare pressioni
su Damasco. Il commento di Camille Eid, giornalista esperto di questioni mediorientali
di Avvenire, al microfono di Francesca Smacchia:
R. – Oggi
abbiamo sentito l’appello del re saudita Abdullah, che si è unito al coro delle proteste
e agli appelli a fermare l’impiego dei militari. Questa è un’indicazione molto forte
perché il Consiglio dei Paesi del Golfo era già intervenuto collettivamente, ma adesso,
la voce del re saudita che chiede di fermare subito – come diceva – “questi massacri”
è un’indicazione di una presa di posizione araba simile a quella che gli arabi del
Golfo avevano preso nei confronti della Libia di Gheddafi. La Siria non può sopravvivere
economicamente senza l’aiuto di questi Paesi, e quindi questa presa di posizione rappresenta
una minaccia. Sappiamo, poi, che domani dovrebbe giungere a Damasco il ministro degli
Esteri turco, portatore di un ultimo messaggio alla Siria. Si dice che il tono sia
duro … Quello che dispiace è che la risposta della diplomazia siriana, del ministero
degli Esteri, afferma che se “i turchi dovessero portarci un messaggio duro, risponderemo
con un tono altrettanto duro”. Il che significa che il regime non ha imparato nulla
da tutti questi appelli!
D. – Quindi il mondo arabo si sta mobilitando;
c’è anche la rottura tra Erdogan – quindi tra la Turchia – e il presidente siriano
Bashar al Assad, una volta alleati ed amici. Questo influirà in qualche modo nelle
decisioni, nelle repressioni alle quali stiamo assistendo ormai da mesi?
R.
– Dovrebbe influire! La Turchia era amica della Siria; Erdogan, in particolare, aveva
incoraggiato Assad ad intraprendere la via delle riforme … Quindi, era un amico, come
lo era la Russia. Ma ora vediamo che questi due Paesi hanno incominciato ad usare
toni molto duri nei confronti di Damasco. Lo stesso si può dire dei Paesi arabi: perché
hanno aspettato cinque mesi per intervenire? Perché anche loro sono in una brutta
situazione ed intervenire a favore di riforme potrebbe significare sentirsi rispondere:
“Anche tu, re saudita, devi introdurre delle riforme nel tuo Paese!”. Temevano, quindi,
critiche di questo tipo. Ecco, la Siria ha cercato di giocare sulle contraddizioni.
Ma oggi, quando questi massacri avvengono nel mese di Ramadan che per gli arabi –
o per i musulmani in generale – dev’essere un mese di preghiera, di digiuno e nel
quale l’uso della forza è completamente bandito, vedere che cadono 50, 60, 70 morti,
un centinaio di morti, è un’azione inaccettabile per qualsiasi musulmano.
D.
– Il ruolo anche di Hezbollah, e soprattutto dell’Iran …
R. – Hezbollah
ha negato di essere coinvolto direttamente negli eventi militari e di aver ucciso
soldati anti-regime. L’Iran, così come Hezbollah, appoggia il regime siriano per un
motivo semplice: perché considerano l’azione nel suo insieme, cioè guardano ai problemi
del Medio Oriente come al campo di coloro che vogliono fare la pace con Israele, quindi
il campo “americano”, come lo definiscono, e poi c’è il campo – o l’asse – Teheran-Damasco.
Quindi, Teheran teme di perdere un alleato importante e questo la mette in una situazione
un po’ imbarazzante, perché se l’Iran era a favore della rivoluzione in Egitto, a
favore della rivoluzione in Tunisia, nello Yemen e nel Bahrein, essendo una maggioranza
sciita, ma nell’attuale caso della Siria sostiene il regime: quindi, una situazione
totalmente contraddittoria! Alla fine, dovrà cedere, dovrà optare per affiancarsi
al popolo piuttosto che ad un regime che sta traballando. (gf)