Onu e Lega Araba chiedono la fine della repressione in Siria. Il regime sempre più
isolato
In Siria non si arresta l'offensiva militare delle truppe governative di Damasco contro
la città orientale di Dayr az Zor. Secondo all'Osservatorio Siriano per i diritti
umani una donna e i suoi due bambini sono stati uccisi mentre cercavano di fuggire
dalle violenze. Almeno 4 morti e decine di feriti a Deraa. E mentre aumenta l’isolamento
internazionale del regime e la richiesta di cessazione delle violenze, Il presidente
al-Assad ha nominato un nuovo ministro della Difesa. Massimiliano Menichetti
Per
un commento sull'attuale situazione della Siria sentiamo il commento di Camille
Eid, giornalista esperto di questioni mediorientali di Avvenire, al microfono
di Francesca Smacchia:
R. – Oggi abbiamo
sentito l’appello del re saudita Abdullah, che si è unito al coro delle proteste e
agli appelli a fermare l’impiego dei militari. Questa è un’indicazione molto forte
perché il Consiglio dei Paesi del Golfo era già intervenuto collettivamente, ma adesso,
la voce del re saudita che chiede di fermare subito – come diceva – “questi massacri”
è un’indicazione di una presa di posizione araba simile a quella che gli arabi del
Golfo avevano preso nei confronti della Libia di Gheddafi. La Siria non può sopravvivere
economicamente senza l’aiuto di questi Paesi, e quindi questa presa di posizione rappresenta
una minaccia. Sappiamo, poi, che domani dovrebbe giungere a Damasco il ministro degli
Esteri turco, portatore di un ultimo messaggio alla Siria. Si dice che il tono sia
duro … Quello che dispiace è che la risposta della diplomazia siriana, del ministero
degli Esteri, afferma che se “i turchi dovessero portarci un messaggio duro, risponderemo
con un tono altrettanto duro”. Il che significa che il regime non ha imparato nulla
da tutti questi appelli!
D. – Quindi il mondo arabo si sta mobilitando; c’è
anche la rottura tra Erdogan – quindi tra la Turchia – e il presidente siriano Bashar
al Assad, una volta alleati ed amici. Questo influirà in qualche modo nelle decisioni,
nelle repressioni alle quali stiamo assistendo ormai da mesi?
R. – Dovrebbe
influire! La Turchia era amica della Siria; Erdogan, in particolare, aveva incoraggiato
Assad ad intraprendere la via delle riforme … Quindi, era un amico, come lo era la
Russia. Ma ora vediamo che questi due Paesi hanno incominciato ad usare toni molto
duri nei confronti di Damasco. Lo stesso si può dire dei Paesi arabi: perché hanno
aspettato cinque mesi per intervenire? Perché anche loro sono in una brutta situazione
ed intervenire a favore di riforme potrebbe significare sentirsi rispondere: “Anche
tu, re saudita, devi introdurre delle riforme nel tuo Paese!”. Temevano, quindi, critiche
di questo tipo. Ecco, la Siria ha cercato di giocare sulle contraddizioni. Ma oggi,
quando questi massacri avvengono nel mese di Ramadan che per gli arabi – o per i musulmani
in generale – dev’essere un mese di preghiera, di digiuno e nel quale l’uso della
forza è completamente bandito, vedere che cadono 50, 60, 70 morti, un centinaio di
morti, è un’azione inaccettabile per qualsiasi musulmano.
D. – Il ruolo anche
di Hezbollah, e soprattutto dell’Iran …
R. – Hezbollah ha negato di essere
coinvolto direttamente negli eventi militari e di aver ucciso soldati anti-regime.
L’Iran, così come Hezbollah, appoggia il regime siriano per un motivo semplice: perché
considerano l’azione nel suo insieme, cioè guardano ai problemi del Medio Oriente
come al campo di coloro che vogliono fare la pace con Israele, quindi il campo “americano”,
come lo definiscono, e poi c’è il campo – o l’asse – Teheran-Damasco. Quindi, Teheran
teme di perdere un alleato importante e questo la mette in una situazione un po’ imbarazzante,
perché se l’Iran era a favore della rivoluzione in Egitto, a favore della rivoluzione
in Tunisia, nello Yemen e nel Bahrein, essendo una maggioranza sciita, ma nell’attuale
caso della Siria sostiene il regime: quindi, una situazione totalmente contraddittoria!
Alla fine, dovrà cedere, dovrà optare per affiancarsi al popolo piuttosto che ad un
regime che sta traballando. (gf)