Paghe da fame, vessazioni, caporalato, condizioni disumane di vita. Si scagliano contro
lo sfruttamento i 350 braccianti africani che nel Salento, in Puglia, stanno incrociando
le braccia da giorni, lasciando deserti i raccolti di pomodori nella zona di Nardò,
nel leccese. Ma la rivolta salentina, concordata ad oltranza in un’assemblea nella
Masseria di Boncuri, è la cassa di risonanza di una più generalizzata sofferenza che
coinvolge decine di migliaia di migranti, si stima siano oltre 10 mila solo in Campania,
che lavorano in una condizione di semi schiavitù, nelle diverse regioni del Sud. Ad
Antonella Cazzato, segretario confederale della Cgil Lecce, che sta sostenendo la
lotta in Puglia, Paola Simonetti ha chiesto di tracciare il quadro delle condizioni
esistenziali e lavorative di questi immigrati:
R. - La qualità
quotidiana di vita è veramente precaria. Consideri che i lavoratori di Nardò di Boncuri,
che sono in sciopero da diversi giorni oramai, e che hanno dichiarato che continueranno
lo sciopero fin tanto non dovessero cambiare le condizioni di lavoro, hanno come immediata
ricaduta, quella di non avere denaro neanche per mangiare.
D. – Voi
denunciate, in particolare, la mancanza di contratti e puntate il dito soprattutto
contro il caporalato...
R. – La presenza dei caporali nasconde la tassa
esattoriale. I lavoratori non conoscono chi sia il proprietario del campo, nel quale
vanno a raccogliere le colture, vengono pagati a quantità di prodotto e non a ora
di lavoro o comunque a giornata, come invece dovrebbe essere. I lavoratori di Boncuri,
percepiscono, con riferimento alla cultura sulla quale adesso sono interessati, tre
euro e mezzo per un’ora di lavoro.
D. – Quale, secondo lei, l’intervento
urgente da attuare subito?
R. – La necessità è quella di superare la
piaga del caporalato, che per altro crea anche una situazione di forte tensione sociale,
perché i caporali vessano e minacciano e soggiogano le persone, non tutte in condizioni
di resistere. La necessità di guadagnare qualche cosa è pressante.
D.
– Potrebbe allargarsi una protesta del genere alle regioni anche vicine?
R.
– Noi speriamo di sì. I lavoratori di Boncuri hanno deciso di rivendicare in prima
persona i loro diritti e c’è veramente un’idea di sentirsi uguali e di pretendere
uguali diritti.
D. – In che misura l’irregolarità rappresenta per un
immigrato un punto di debolezza rispetto al fenomeno del lavoro nero?
R.
– Nel caso della manodopera straniera abbiamo dinnanzi purtroppo una situazione particolarmente
complessa, determinata anche dalla condizione di permanenza spesso non regolare delle
persone che raggiungono il nostro territorio per lavorare. Ci sono delle persone irregolarmente
residenti nel nostro territorio, che raggiungono le varie regioni d’Italia per lavorare,
generalmente assorbiti da un mercato in nero, soprattutto in agricoltura. (ma)