Siria: l'Italia richiama l'ambasciatore, prosegue la riunione del Consiglio di Sicurezza
L'Italia ha richiamato l'ambasciatore in Siria “di fronte all'orribile repressione
contro la popolazione civile”. Il ministro degli Esteri Frattini ha proposto anche
il richiamo degli ambasciatori di tutti i Paesi dell'Unione europea a Damasco. Oggi
riprenderà la riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu dedicata alla Siria. E
da oggi, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione, vanno in vigore
le nuove sanzioni della Ue contro la Siria. Si allarga il numero delle personalità
alle quali vengono congelati beni e visti. Tra questi anche il generale Ali Habib
Mahmoud, nominato ministro della Difesa il 3 giugno 2009. È ritenuto responsabile
delle operazioni delle Forze armate siriane coinvolte nella repressione e negli atti
violenti contro la popolazione civile. Dopo il massacro di domenica, ieri ventiquattro
persone sono state uccise dalle Forze di sicurezza in diverse città della Siria, di
cui 10 al termine della preghiera della sera nel primo giorno di Ramadan. È quanto
riferisce Rami Abdel Rahmane, capo dell'Osservatorio siriano dei diritti dell'Uomo.
Domani
il processo a Mubarak e ai vertici politici e economici del suo governo Domani
inizia al Cairo il processo ai vertici politici ed economici dell'Egitto di Hosni
Mubarak. Accanto all’ex presidente ottantatrenne, che oggi ha firmato, su sollecitazione
dell'avvocato, il mandato di comparizione, ci saranno i due figli, Alaa e Gamal e
l'ex ministro dell'Interno Habib el Adly, accusato con l'ex rais di avere ordinato
la violenta repressione dei manifestanti. In vista del processo che per la prima volta
nella storia dell’Egitto vedrà imputato un ex presidente, sale la tensione. Ieri nel
primo giorno del Ramadan, esercito e polizia in assetto antisommossa sono entrati
in forze a piazza Tahrir per sgombrare i manifestanti che, in dissenso con i grandi
movimenti rivoluzionari, avevano deciso di proseguire il sit in avviato l'8 luglio.
Il processo segna un momento particolare della difficile transizione dell’Egitto verso
un nuovo assetto politico. A questo proposito, in Egitto come in altri Paesi in cui
è esplosa la cosiddetta 'primavera araba', si affaccia il rischio di una deriva fondamentalista.
Luca Collodi ne ha parlato con Renzo Guolo, docente di Sociologia delle
Religioni all’Università di Padova:
R. – È prevedibile
che in una prima fase di approccio alla libertà politica – parliamo di libertà politica
più che di democrazia, perché è una cosa più complessa e presuppone la distinzione
e la separazione tra poteri e tutto il resto – ci sia inevitabilmente previsto il
successo di forze che sono strutturalmente più radicate e che anche nel tempo dell’opposizione
hanno saputo – perché le società del mondo arabo hanno dovuto fare dei compromessi
- fare attività politica senza farla formalmente. Questo il caso delle forze dei “Fratelli
musulmani” in Egitto, che si sono occupate di welfare religioso, assistenza ed educazione.
Evidentemente, però, sono diventati egemoni anche facendo questo: non erano presenti
in Parlamento, ma politicamente costruivano il loro successo attraverso la società.
Le forze democratiche laiche sono ancora deboli rispetto a questa questione. Una grossa
responsabilità, comunque, ce l’ha anche l’Occidente che ha temporeggiato: avrebbe
potuto – in anni molto meno problematici – premere molto su questi Paesi, perché facessero
delle vere aperture democratiche e che non fossero vittime delle circostanze e delle
emergenze di quelle che potrebbero essere invece nei prossimi mesi gli sviluppi nell’area.
D. – Prof. Guolo, possiamo parlare di una svolta islamica della “Primavera
araba”?
R. – Diciamo che le forze islamiche sono candidate a beneficiare
di processi rivoluzionari che non hanno causato, che non hanno scatenato. Anzi, sono
state paradossalmente legate – ovviamente in termini antagonistici – al regime, nel
bene e nel male: non hanno guidato le rivolte, ma potrebbero beneficiarle se appunto
la Comunità internazionale non cercherà in qualche modo di favorire ed aiutare, tutelando
le minoranze religiose, condizionando gli aiuti internazionali ad un certo assetto
politico, ovviamente nel pieno rispetto delle regole che ci saranno… Insomma ha capacità
di incidere, cercando di strutturare un campo democratico che potrà magari rafforzarsi
nei prossimi anni, se non sarà troppo tardi!(mg)
Combattimenti in Libia
anche nel Ramadan In Libia si continua a combattere nonostante l’inizio del
Ramadan. I ribelli avanzano a est verso il porto petrolifero di Brega, dopo essersi
attestati ad Ajdabiya. Sempre secondo le fonti di Bengasi scontri si sono verificati
nei pressi della città tra i ribelli e un gruppo di combattenti pro-Gheddafi. Prosegue
intanto l’aiuto militare della coalizione Nato che prosegue nei bombardamenti contro
le postazioni lealiste, mentre Parigi ha annunciato ieri di avere sbloccato in favore
del Consiglio Nazionale di Transizione quasi 300milioni di Euro.
Ancora
scontri a Karachi mentre l’Ue elabora piani di cooperazione bilaterale Almeno
undici persone sono rimaste uccise a Karachi, la principale città portuale del Pakistan,
in nuovi scontri interetnici che dall'inizio di luglio hanno fatto oltre 200 vittime.
Secondo quanto hanno annunciato le autorità locali, il bilancio del fine settimana
è di oltre 30 morti. I disordini sono attribuiti a rivalità tra clan, bande di malavitosi
e formazioni politiche. Varie sparatorie sono state segnalate in alcuni quartieri
periferici poveri, dove operano gang della malavita locale. La scorsa settimana le
autorità hanno lanciato una campagna di pacificazione, affiggendo manifesti e facendo
distribuire volantini alla popolazione in cui si chiede la fine dello spargimento
di sangue. Intanto l'Unione europea (Ue) e il Pakistan avvieranno entro la fine dell'anno,
o al massimo nei primi mesi del 2012, il Dialogo strategico previsto dal piano quinquennale
di cooperazione bilaterale, che porterà alla realizzazione del terzo Vertice Ue-Pakistan.
L'annuncio è contenuto in un comunicato congiunto diffuso ieri a Islamabad al termine
di un incontro fra il ministro degli Esteri pachistano Hina Rabbani Khar e il collega
polacco Radoslaw Sikorski, che ha visitato il Pakistan come rappresentante della responsabile
della Politica estera comunitaria, Catherine Ashton.
Attentato kamikaze
a Kunduz, nel nord dell’Afghanistan I talebani afghani hanno rivendicato oggi
l'attentato realizzato prima dell'alba contro una guest house a Kunduz City, capoluogo
della omonima provincia settentrionale, in cui sono stati uccisi quattro agenti di
una agenzia privata che offre sicurezza al contingente tedesco della Forza internazionale
di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato). In una breve notizia nel
loro sito Internet gli insorti riferiscono che un militante di nome Ashiqullah si
è fatto esplodere davanti all'edificio, permettendo a due suoi compagni (Sharafdin
e Nazifullah) di “entrare nel compound combattendo per ore con bombe a mano, razzi
mitragliatrici”. I talebani forniscono un bilancio di 35 “invasori tedeschi e loro
collaboratori” uccisi che non trova però conferma nelle fonti ufficiali che parlano
di quattro morti e dieci feriti, fra cui alcuni civili.
Alta tensione nel
centro d'accoglienza di Crotone, nel sud Italia “Una tragedia di questo tipo
non si era mai vista”: così, Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato dell'Onu
per i rifugiati, sulla morte dei 25 immigrati rimasti soffocati durante la traversata
dalla Libia verso l’isola siciliana di Lampedusa. 271 le persone che erano a bordo
dell’imbarcazione dove ci sarebbero stati episodi di violenza. Mentre si cercano gli
scafisti, in queste ore sono cominciate le operazioni di trasbordo di 19 salme che
saranno sepolte nei cimiteri di alcuni comuni della provincia di Agrigento, 6 rimarranno
a Lampedusa. Intanto è ancora alta la tensione nei centri d'accoglienza di Bari e
Crotone dove ieri si sono verificati scontri con le Forze dell'ordine. Nell’intervista
di Massimiliano Menichetti la stessa Laura Boldrini:
R. – Questa
ennesima tragedia ci porta di fronte a qualcosa che non avevamo mai vissuto prima.
Non era mai accaduto che 25 persone morissero perché stipate dentro una stiva e perché
sopra, sul ponte, non c’era spazio fisico per loro. A bordo è chiaro che c’è stata
una lotta per la sopravvivenza: le persone hanno lottato fisicamente e ci sono i segni
di tutto questo. È veramente di una crudeltà spaventosa! E dire che chi organizza
questi viaggi fa subire non solo il rischio del mare a queste persone, ma anche la
guerra per la sopravvivenza.
D. – Da una parte, la responsabilità di
chi organizza questi viaggi, ma, dall’altra, anche la responsabilità di chi dovrebbe
accogliere e quindi non innescare situazioni come questa...
R. – Un
milione e trecentomila persone sono fuggite dalla Libia verso i Paesi confinanti.
In Italia, via mare, sono arrivate 23 mila persone, quindi un numero assolutamente
esiguo. Certo, sarebbe auspicabile che queste persone non dovessero rischiare la vita
in mare. Una soluzione migliore sarebbe quella di consentire un trasferimento legale
attraverso delle quote di reinsediamento: i Paesi e la comunità internazionale decidono
di farsi carico e di prendere ognuno una quota di queste persone che fuggono dal conflitto,
prima che debbano rischiare la vita in mare. Ma per fare questo ci vuole la volontà
politica degli Stati e questa volontà politica non sembra esserci.
D.
– Ci spostiamo su un altro fronte, quello delle contestazioni nei centri di accoglienza
di Bari e Crotone, contestazioni sfociate, di fatto, in veri e propri atti di violenza
da parte dei migranti, che chiedono in realtà tempi certi per quanto riguarda il loro
futuro...
R. – Condanniamo ogni forma di protesta violenta. È chiaro
che si può non essere d’accordo, si può avere malcontento: le proteste sono legittime
fintanto che non diventano violente. Detto questo – e ci sono dei tempi di attesa
per la domanda di asilo – va anche detto che le persone che provengono dalla Libia
fanno tutte domanda d’asilo, ma molte di queste persone stavano in Libia per lavorare,
non hanno persecuzione nel Paese di origine. Quindi, la Commissione sta anche dando
dei dinieghi e rischiano di diventare irregolari. Noi tra le possibilità stiamo suggerendo
quella di fare un rimpatrio volontario assistito, cioè offrire a queste persone la
possibilità di ritornare a casa, attraverso un volo e attraverso degli incentivi.
Si dirà che questo costa, ma sempre meno che offrire un’assistenza per mesi in Italia.
(ap)
Più forza Nato in Kosovo dopo le violenze dei giorni scorsi La
forza Nato in Kosovo (Kfor) ha chiesto l'invio di truppe supplementari dopo l'escalation
di violenza della scorsa settimana. Intanto, con un incontro a porte chiuse con la
parte serba a Raska, in territorio serbo, il mediatore dell'Unione europea per il
Kosovo, Robert Cooper, ha iniziato una 'staffetta' diplomatica che lo vedrà spostarsi
di frequente fra Serbia e Kosovo per tentare di risolvere la crisi delle frontiere
fra i due Paesi, che negli ultimi giorni ha creato un sussulto di violenza. La decisione
dei giorni scorsi di Pristina di inviare ai valichi con la Serbia di Jarinie e Brnjak
le forze speciali per imporre con la forza il blocco sulle merci serbe, importate
dalla minoranza serbo-kosovara che vive nella zona di Mitrovica, è stata presa in
risposta all'embargo della Serbia sui prodotti 'made in Kosovo', la cui legittimità
non è riconosciuta da Belgrado. Nei violenti scontri con gli estremisti serbi che
ne sono seguiti ai valichi è morta una guardia di frontiera kosovara. Giovedì c’è
stato l'intervento delle truppe internazionali Nato della Kfor. (Panoramica
internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale
della Radio Vaticana Anno LV no. 214