Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati chiede aiuti per offrire servizi psicosociali
ed educativi ai somali
Africa Orientale: appello per l'invio di risorse in risposta alla crisi somala
Nairobi,
Roma, Washington DC, 26 luglio 2011 Nel pieno di una delle peggiori crisi umanitarie
che abbia colpito il Corno d'Africa negli ultimi anni, il Servizio dei Gesuiti per
i Rifugiati ha reso pubblici i propri piani per rafforzare le attività già in corso
in favore dei rifugiati somali in Etiopia e in Kenya e per istituire nuovi servizi
in Etiopia. "Da molti anni assistiamo i rifugiati somali e conosciamo le loro necessità.
Ci stiamo preparando ad aiutare un numero crescente di persone traumatizzate a ridare
normalità alle proprie esistenze. Questo è un impegno a lungo termine, poiché i servizi
di supporto psicologico e quelli educativi sono essenziali per aiutare i rifugiati
a raggiungere la stabilità. Dal momento che il budget a nostra disposizione si va
già esaurendo – dice padre Frido Pflueger SJ, direttore del JRS Africa Orientale –
chiediamo a tutti di aiutarci in ogni modo possibile". Anni di conflitto e ricorrenti
carestie hanno già messo in fuga quasi 2 milioni di somali, e le cifre sono in costante
rapido aumento. Al 20 luglio di quest'anno, più di 120mila somali si erano rifugiati
in Kenya e in Etiopia. Questo mese nei due Paesi stanno arrivando circa 3mila persone
al giorno. Si stima che siano approssimativamente 11 milioni le persone colpite dalla
peggiore carestia degli ultimi cinquant'anni. Se non si interviene immediatamente,
la carestia si estenderà a tutto il resto della Somalia meridionale. "Sebbene il
numero di rifugiati somali attualmente accompagnati dal JRS sia relativamente basso,
il tipo di servizi offerti, come l'assistenza psicologica, richiedono cospicue risorse.
Tra l'altro se, come previsto, il JRS inizierà ad offrire servizi educativi nel campo
di Dollo Ado (Etiopia), questo numero aumenterà moltissimo. Stiamo cercando risorse
per questo nuovo intervento", soggiunge padre Pflueger. La crisi attuale è conseguenza
di tre problemi che si intersecano e assommano: la siccità causata da condizioni climatiche
estreme; la mancanza di un governo centrale operativo in Somalia; l'incapacità delle
agenzie umanitarie di accedere alla Somalia centromeridionale, controllata dalle milizie
di al-Shabaab. Tutti questi fattori hanno concorso a un rialzo dei prezzi dei generi
alimentari in tutta la regione, che ha colpito una popolazione già molto vulnerabile,
causando ulteriori devastanti perdite. Gli Stati vicini stanno attivando misure
per far fronte alla situazione. Il Kenya ha recentemente annunciato l'ampliamento
di uno dei tre campi profughi di Dadaab per accogliere i nuovi rifugiati, mentre l'Etiopia
sta già ampliando il campo di Dollo Ado nel sud-est del Paese. Comunque c'è un
limite a quello che possono offrire questi due Stati, a loro volta duramente colpiti
dalla carestia. Attualmente sono oltre 750mila i rifugiati somali che vivono in Africa
Orientale, soprattutto in Kenya e in Etiopia. A meno che la comunità internazionale
non riesca a fornire aiuti umanitari all'interno della Somalia, è probabile che i
somali continuino a soffrire in patria e a fuggire, laddove possibile, nei Paesi vicini.
Il
JRS in Kenya Gli uffici del JRS a Nairobi e nel campo di Kakuma attualmente
rispondono alle necessità di circa 12.500 richiedenti asilo e rifugiati vulnerabili,
fornendo formazione, cibo e articoli di prima necessità, sostegno economico, assistenza
medica e psicosociale, compresa la formazione di consulenti e operatori da impegnare
nell'ambito della salute mentale. Anche le donne che subiscono violenza di genere
possono trovare protezione presso il rifugio del JRS. I progetti del JRS contano
numerosi beneficiari somali sia nel campo di Kakuma che a Nairobi: attualmente, in
totale, sono quasi 100mila. Si tratta soprattutto di madri single con particolari
difficoltà dovute alla numerosità della famiglia a carico e alla mancanza di reti
di supporto. Traumatizzate dalla guerra, dalla violenza di genere e bisognose di servizi
specifici culturalmente dedicati, le rifugiate somale ricevono un intensivo supporto
psicologico e sostegno per la formazione. Se lasciate prive di assistenza si troverebbero,
con i loro bambini, in una situazione di totale abbandono. Casi come questo che
descriviamo stanno diventando molto comuni in Somalia. Hassan (non è il suo vero nome)
è fuggito dalla Somalia a 10 anni, dopo che i suoi genitori erano stati uccisi e sua
sorella rapita da uomini armati in cerca di cibo. Dopo aver viaggiato per giorni,
prima a piedi e poi fortunatamente in barca, è infine riuscito a lasciare la Somalia.
Hassan oggi si trova a Kakuma. Il JRS accoglie anche famiglie che fuggono per il
timore del reclutamento forzato dei loro bambini, alcuni dei quali sono gravemente
mutilati. Racconta, per esempio, p. Pflueger che "a un ragazzo di 16 anni è stata
amputata una mano per essersi rifiutato di arruolarsi nel gruppo insurrezionalista
al-Shabaab. Ci sono famiglie che hanno dovuto affrontare lunghissimi viaggi per evitarne
i miliziani, e i loro bambini sono ormai allo stremo; capita anche che siano costrette
e subire lo sfruttamento di persone che si presentano come buoni samaritani".
Il
JRS in Etiopia L'ufficio del JRS assiste attualmente ad Addis Abeba quasi 4.000
rifugiati e richiedenti asilo vulnerabili, fornendo servizi educativi e ricreativi,
formazione professionale e supporto psicosociale, oltre ad assistenza di emergenza. Finora
il numero dei somali che arrivano ad Addis Abeba si è mantenuto relativamente costante,
ma il personale del JRS sta pianificando in vista di un aumento di coloro che un domani
beneficeranno del programma. Il JRS si sta accordando con l'Agenzia delle NU per i
rifugiati (UNCHR) per iniziare a fornire servizi psicosociali ed educativi nel campo
di Dollo Ado, che oggi ospita oltre 100mila somali. Il JRS opera in più di 50 paesi
di tutto il mondo. L'organizzazione vanta un organico di oltre 1.200 persone tra
personale laico, gesuiti e altri religiosi, che insieme si prodigano a dare una risposta
alle esigenze educative, sanitarie, sociali e di altra natura a 500.000 rifugiati
e IDP, di cui oltre la metà è costituita da donne. I servizi sono erogati prescindendo
dalla razza, origine etnica o credo religioso dei beneficiati.