2011-07-28 15:05:32

Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati chiede aiuti per offrire servizi psicosociali ed educativi ai somali


Africa Orientale: appello per l'invio di risorse in risposta alla crisi somala

Nairobi, Roma, Washington DC, 26 luglio 2011
Nel pieno di una delle peggiori crisi umanitarie che abbia colpito il Corno d'Africa negli ultimi anni, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati ha reso pubblici i propri piani per rafforzare le attività già in corso in favore dei rifugiati somali in Etiopia e in Kenya e per istituire nuovi servizi in Etiopia.
"Da molti anni assistiamo i rifugiati somali e conosciamo le loro necessità. Ci stiamo preparando ad aiutare un numero crescente di persone traumatizzate a ridare normalità alle proprie esistenze. Questo è un impegno a lungo termine, poiché i servizi di supporto psicologico e quelli educativi sono essenziali per aiutare i rifugiati a raggiungere la stabilità. Dal momento che il budget a nostra disposizione si va già esaurendo – dice padre Frido Pflueger SJ, direttore del JRS Africa Orientale – chiediamo a tutti di aiutarci in ogni modo possibile".
Anni di conflitto e ricorrenti carestie hanno già messo in fuga quasi 2 milioni di somali, e le cifre sono in costante rapido aumento. Al 20 luglio di quest'anno, più di 120mila somali si erano rifugiati in Kenya e in Etiopia. Questo mese nei due Paesi stanno arrivando circa 3mila persone al giorno. Si stima che siano approssimativamente 11 milioni le persone colpite dalla peggiore carestia degli ultimi cinquant'anni. Se non si interviene immediatamente, la carestia si estenderà a tutto il resto della Somalia meridionale.
"Sebbene il numero di rifugiati somali attualmente accompagnati dal JRS sia relativamente basso, il tipo di servizi offerti, come l'assistenza psicologica, richiedono cospicue risorse. Tra l'altro se, come previsto, il JRS inizierà ad offrire servizi educativi nel campo di Dollo Ado (Etiopia), questo numero aumenterà moltissimo. Stiamo cercando risorse per questo nuovo intervento", soggiunge padre Pflueger.
La crisi attuale è conseguenza di tre problemi che si intersecano e assommano: la siccità causata da condizioni climatiche estreme; la mancanza di un governo centrale operativo in Somalia; l'incapacità delle agenzie umanitarie di accedere alla Somalia centromeridionale, controllata dalle milizie di al-Shabaab. Tutti questi fattori hanno concorso a un rialzo dei prezzi dei generi alimentari in tutta la regione, che ha colpito una popolazione già molto vulnerabile, causando ulteriori devastanti perdite.
Gli Stati vicini stanno attivando misure per far fronte alla situazione. Il Kenya ha recentemente annunciato l'ampliamento di uno dei tre campi profughi di Dadaab per accogliere i nuovi rifugiati, mentre l'Etiopia sta già ampliando il campo di Dollo Ado nel sud-est del Paese.
Comunque c'è un limite a quello che possono offrire questi due Stati, a loro volta duramente colpiti dalla carestia. Attualmente sono oltre 750mila i rifugiati somali che vivono in Africa Orientale, soprattutto in Kenya e in Etiopia. A meno che la comunità internazionale non riesca a fornire aiuti umanitari all'interno della Somalia, è probabile che i somali continuino a soffrire in patria e a fuggire, laddove possibile, nei Paesi vicini.

Il JRS in Kenya
Gli uffici del JRS a Nairobi e nel campo di Kakuma attualmente rispondono alle necessità di circa 12.500 richiedenti asilo e rifugiati vulnerabili, fornendo formazione, cibo e articoli di prima necessità, sostegno economico, assistenza medica e psicosociale, compresa la formazione di consulenti e operatori da impegnare nell'ambito della salute mentale. Anche le donne che subiscono violenza di genere possono trovare protezione presso il rifugio del JRS.
I progetti del JRS contano numerosi beneficiari somali sia nel campo di Kakuma che a Nairobi: attualmente, in totale, sono quasi 100mila. Si tratta soprattutto di madri single con particolari difficoltà dovute alla numerosità della famiglia a carico e alla mancanza di reti di supporto. Traumatizzate dalla guerra, dalla violenza di genere e bisognose di servizi specifici culturalmente dedicati, le rifugiate somale ricevono un intensivo supporto psicologico e sostegno per la formazione. Se lasciate prive di assistenza si troverebbero, con i loro bambini, in una situazione di totale abbandono.
Casi come questo che descriviamo stanno diventando molto comuni in Somalia. Hassan (non è il suo vero nome) è fuggito dalla Somalia a 10 anni, dopo che i suoi genitori erano stati uccisi e sua sorella rapita da uomini armati in cerca di cibo. Dopo aver viaggiato per giorni, prima a piedi e poi fortunatamente in barca, è infine riuscito a lasciare la Somalia. Hassan oggi si trova a Kakuma.
Il JRS accoglie anche famiglie che fuggono per il timore del reclutamento forzato dei loro bambini, alcuni dei quali sono gravemente mutilati. Racconta, per esempio, p. Pflueger che "a un ragazzo di 16 anni è stata amputata una mano per essersi rifiutato di arruolarsi nel gruppo insurrezionalista al-Shabaab. Ci sono famiglie che hanno dovuto affrontare lunghissimi viaggi per evitarne i miliziani, e i loro bambini sono ormai allo stremo; capita anche che siano costrette e subire lo sfruttamento di persone che si presentano come buoni samaritani".

Il JRS in Etiopia
L'ufficio del JRS assiste attualmente ad Addis Abeba quasi 4.000 rifugiati e richiedenti asilo vulnerabili, fornendo servizi educativi e ricreativi, formazione professionale e supporto psicosociale, oltre ad assistenza di emergenza.
Finora il numero dei somali che arrivano ad Addis Abeba si è mantenuto relativamente costante, ma il personale del JRS sta pianificando in vista di un aumento di coloro che un domani beneficeranno del programma. Il JRS si sta accordando con l'Agenzia delle NU per i rifugiati (UNCHR) per iniziare a fornire servizi psicosociali ed educativi nel campo di Dollo Ado, che oggi ospita oltre 100mila somali.
Il JRS opera in più di 50 paesi di tutto il mondo. L'organizzazione vanta un organico di oltre 1.200 persone tra personale laico, gesuiti e altri religiosi, che insieme si prodigano a dare una risposta alle esigenze educative, sanitarie, sociali e di altra natura a 500.000 rifugiati e IDP, di cui oltre la metà è costituita da donne. I servizi sono erogati prescindendo dalla razza, origine etnica o credo religioso dei beneficiati.








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