L'ombra del default sugli Stati Uniti: continua il braccio di Ferro tra Obama e i
repubblicani
L’ombra del default si allunga pericolosamente sugli Stati Uniti, dove resta lettera
morta il compromesso – chiesto da Obama – sull’aumento del tetto del debito. L'appello
del presidente sembra, dunque, cadere nel vuoto in Congresso, con i partiti che continuano
a duellare, ma viene recepito dagli americani che, in massa, stanno intasando le linee
della Camera per esercitare quella pressione sugli eletti che Obama ha chiesto nell’ultimo
discorso alla nazione. Sentiamo Elena Molinari:
L’appello
di Barack Obama per un compromesso sull’aumento del tetto del debito americano cade
nel vuoto in Congresso dove i partiti sono sempre più lontani. Lo spettro del default
tecnico si fa sempre più reale, i mercati continuano a restare calmi ma si preparano
al peggio. Alla scadenza del 2 agosto mancano, infatti, solo sei giorni e in quella
data il tesoro esaurirà l’opzione a sua disposizione per pagare i conti e le obbligazioni.
“Un default sarebbe un cataclisma sull’economia”, avverte la Casa Bianca. Ma i repubblicani
lanciano una nuova sfida: un disegno di legge presentano a Camera e Senato per un
aumento del tetto del debito in due fasi e un taglio delle spese di tremila miliardi.
Una misura alla quale Obama si oppone e sulla quale minaccia il veto. Ma il presidente
ostenta anche fiducia, “se non altro perché - ha detto - causare una profonda crisi
economica per motivi politici sarebbe avventato e irresponsabile”.
Se non
verrà raggiunto un compromesso entro il due agosto gli Stati Uniti potrebbero quindi
trovarsi in una condizione di insolvibilità nei confronti dei creditori interni ed
internazionali. A Mario Deaglio, docente di economia internazionale all’Università
di Torino, Stefano Leszczynski ha chiesto quali potrebbero essere le conseguenze
dirette di una situazione di questo tipo.
R. - Nessuno
lo sa con precisione, perché si è già verificato altre volte, per brevi periodi ma
in contesti molto diversi, in cui l’economia globale ancora non c’era e quindi gli
effetti erano più limitati. Sostanzialmente, c’è una legge che proibisce al governo
americano di superare certi limiti e quindi predice a questo governo di pagare certe
cose: se iniziare a non pagare le pensioni o a chiudere i musei. Ma si deve cominciare
da qualcosa e poi, a discrezione del governo, si va avanti e, nel giro di un tempo
che non possiamo stimare ma direi comunque entro qualche settimana, la vita economica
del Paese si paralizzerebbe, perché la componente pubblica smetterebbe di esserci
tranne, forse, i servizi essenziali.
D. - Tutta questa situazione potrebbe
essere facilmente risolta con una legge che aumenti il tetto di spesa per gli Stati
Uniti. Come mai ciò non avviene?
R. - Non avviene perché nel panorama
politico americano è sorta, di fatto, una nuova forza interna al partito repubblicano
- e lo sta egemonizzando - che è di opinioni estremamente anti-stataliste. Si tratta
di gente che ritiene di pagare troppo tasse, a cui non importa molto dei servizi pubblici.
D.
- Diciamo che si rischia un aggravamento della crisi per motivi eminentemente politici.
Da un punto di vista strettamente economico, la situazione sarebbe risolvibile senza
grossi danni?
R. - Su questo punto molti dei miei colleghi - soprattutto
quelli americani - la pensano proprio così. Io sono lievemente più pessimista. Mettiamo
però che la cosa si risolva: se io devo sottoscrivere il futuro dei titoli del debito
pubblico americano, lo faccio esattamente come prima, sapendo che questo è un governo
che può essere bloccato da una legge sui tetti? Oppure non chiederò, magari, un tasso
d’interesse superiore o andrei a cercare un altro investimento? Sicuramente questo
fattore gioca contro la sua stabilità ed il suo uso continuato nelle relazioni economiche
internazionali. (vv)