Falso allarme bomba alla Stazione di Oslo: dibattito in Europa sull'incontro tra culture
e religioni
Ancora confusione e paura in Norvegia a 5 giorni dalle stragi a Oslo e sull’Isola
di Utoya . Un allarme bomba alla stazione centrale della capitale e poi un identikit
sospetto diffuso dalla polizia hanno seminato il panico tra la gente che ancora piange
le 76 vittime di venerdì scorso. Il governo annuncia il rafforzamento della sicurezza,
e la polizia continua a indagare sul profilo psicologico dell’attentatore, Andres
Breivinik, e sui presunti complici. Intanto in Europa si discute sulle conseguenze
di questa tragedia. Il servizio è di Gabriella Ceraso
Proprio
ad Oslo la Comunità di Sant’Egidio tenne un incontro dal titolo: “Convivere: il dibattito
sull'integrazione è fuori dalla realtà?”. Oggi la Norvegia, e tutta l’Europa sono
scioccate per le stragi compiute da Breivik. Al microfono di Massimiliano Menichetti
il portavoce della Comunità, Mario Marazziti:
R. - Va commentato
il fatto che parliamo da tanti anni di invasione, di pericolo islamico e qui abbiamo
la crescita, in casa, di fenomeni di neonazismo, estrema destra intollerante. Una
generazione che cresce parlando di purezza ed individuando nemici nell’altro, nel
musulmano, il povero o chi rappresenta appunto l’integrazione. C’è un problema gigantesco
di educazione e di formazione, direi di sbandamento della società occidentale che
produce anche questo.
D. - Ma che cosa significa parlare di dialogo in un contesto
che attraversa un po’ tutta l’Europa?
R. - L’idea che l’Europa sia una “fortezza”
è un non-senso. L’Europa ha un grande bisogno di immigrati, non può essere un Paese
chiuso all’inclusione. E’ un luogo di speranza e di futuro per tante persone. Essere
se stessi - cioè essere Europa - significa porsi anche la responsabilità di questo
ruolo nel mondo, altrimenti l’Europa smette di essere Europa e diventa un piccolo
luogo provinciale, che pensa ai soldi e non ha alcun senso e significato politico
internazionale. Bisogna lavorare per arrivare ad una cultura che non crei nemici.
D.
- Per poter dialogare e costruire una cultura che non crei nemici quanto è importante,
però, avere anche un’identità chiara?
R. - E’ fondamentale. Chi dialoga ha
sempre un’identità chiara. Chi ha paura del dialogo è incerto di chi è. Non esiste
l’identità senza l’altro, l’identità è sempre relazione. Il dialogo non è: “Io rinuncio
alle mie cose, tu rinunci alle tue e diventiamo una terza cosa che è un po’ di plastica”.
In realtà, più entriamo profondamente nelle nostre radici, anche religiose e culturali,
più c’è spazio per l’altro.
D. - Alcuni ritengono che la società multiculturale,
però, sia impossibile. C’è chi parla di “Eurabia”, riferendosi alla chiusura e al
desiderio che avrebbero i musulmani di instaurare la sharia nei confronti delle terre
in cui sono arrivati…
R. - Penso sia un’affermazione talmente generalizzata
rispetto al miliardo di musulmani che hanno così tante sfumature, storie così diverse
tra loro... La società multiculturale fatta ad isole è un errore, l’integrazione sociale
è una necessità, un valore ed è questo che fa la differenza. Chi lo fa meglio, chi
lo fa per primo, ci guadagna di più.
D. - Cosa fare a livello politico per
arginare le derive xenofobe e neo-naziste?
R. - Innanzitutto direi che le classi
dirigenti devono aiutare a ridimensionare i toni, a non usare una “cultura del nemico”.
Poi, per quello che riguarda la crescita di un fenomeno marginale come quello che
possiamo definire “neo-nazista” o di intolleranza xenofoba in Europa, questo è il
vero problema che dobbiamo affrontare. Si tratta di un problema educativo, spirituale,
culturale, politico, civile e di ordine pubblico, ma il dibattito è sempre spostato
su altro. (vv)