Falso allarme bomba alla Stazione di Oslo: dibattito in Europa sull'incontro tra culture
e religioni
Nuovo allarme in Norvegia, alle prese con una vera e propria psicosi dopo gli attentati
di venerdì scorso a Oslo e sull’isola di Utoya. Questa mattina blocco totale del principale
scalo ferroviario della capitale per la presenza di una valigia sospetta. Ci racconta
tutto, Salvatore Sabatino:
La stazione
ferroviaria di Oslo ha ripreso a funzionare solo in tarda mattinata, dopo essere rimasta
paralizzata in seguito ad un allarme bomba; una valigia sospetta, notata da un passante,
il cui contenuto è risultato, poi, inoffensivo. Si tratterebbe, secondo le forze dell’ordine,
dell'azione di un soggetto psicologicamente instabile, senza però alcun legame con
Anders Behring Breivik, autore della strage di venerdì a Oslo e sull’isola di Utoya,
costate la vita a 76 persone. Di certo c’è che la situazione nel Paese nordeuropeo
rimane confusa; se da una parte gli inquirenti sarebbero alla ricerca di “possibili
cellule” che avrebbero pianificato insieme a Breivik le stragi di venerdì, dall’altra
l’intelligence norvegese è convinta che abbia agito da solo. Quanto all'esplosivo
trovato nell'azienda agricola di Breivik, la polizia lo ha fatto brillare in una zona
boschiva vicina alla fattoria. Si delinea, infine, ulteriormente il profilo psicologico
dell’uomo, definito ieri dal suo avvocato “mentalmente instabile, incapace di stabilire
relazioni con altre persone e convinto di essere in guerra”. Un poligono di
Oslo, il Club della Pistola, ha confermato che era stato suo membro tra il 2005 e
il 2007 e di nuovo a partire dal giugno 2010; aveva anche partecipato, insieme ad
alte 13 persone, a sessioni di allenamento e a una competizione.
Proprio
ad Oslo la Comunità di Sant’Egidio tenne un incontro dal titolo: “Convivere: il dibattito
sull'integrazione è fuori dalla realtà?”. Oggi la Norvegia, e tutta l’Europa sono
scioccate per le stragi compiute da Breivik. Al microfono di Massimiliano Menichetti
il portavoce della Comunità, Mario Marazziti:
R. - Va commentato
il fatto che parliamo da tanti anni di invasione, di pericolo islamico e qui abbiamo
la crescita, in casa, di fenomeni di neonazismo, estrema destra intollerante. Una
generazione che cresce parlando di purezza ed individuando nemici nell’altro, nel
musulmano, il povero o chi rappresenta appunto l’integrazione. C’è un problema gigantesco
di educazione e di formazione, direi di sbandamento della società occidentale che
produce anche questo.
D. - Ma che cosa significa parlare di dialogo
in un contesto che attraversa un po’ tutta l’Europa?
R. - L’idea che
l’Europa sia una “fortezza” è un non-senso. L’Europa ha un grande bisogno di immigrati,
non può essere un Paese chiuso all’inclusione. E’ un luogo di speranza e di futuro
per tante persone. Essere se stessi - cioè essere Europa - significa porsi anche la
responsabilità di questo ruolo nel mondo, altrimenti l’Europa smette di essere Europa
e diventa un piccolo luogo provinciale, che pensa ai soldi e non ha alcun senso e
significato politico internazionale. Bisogna lavorare per arrivare ad una cultura
che non crei nemici.
D. - Per poter dialogare e costruire una cultura
che non crei nemici quanto è importante, però, avere anche un’identità chiara?
R.
- E’ fondamentale. Chi dialoga ha sempre un’identità chiara. Chi ha paura del dialogo
è incerto di chi è. Non esiste l’identità senza l’altro, l’identità è sempre relazione.
Il dialogo non è: “Io rinuncio alle mie cose, tu rinunci alle tue e diventiamo una
terza cosa che è un po’ di plastica”. In realtà, più entriamo profondamente nelle
nostre radici, anche religiose e culturali, più c’è spazio per l’altro.
D.
- Alcuni ritengono che la società multiculturale, però, sia impossibile. C’è chi parla
di “Eurabia”, riferendosi alla chiusura e al desiderio che avrebbero i musulmani di
instaurare la sharia nei confronti delle terre in cui sono arrivati…
R.
- Penso sia un’affermazione talmente generalizzata rispetto al miliardo di musulmani
che hanno così tante sfumature, storie così diverse tra loro... La società multiculturale
fatta ad isole è un errore, l’integrazione sociale è una necessità, un valore ed è
questo che fa la differenza. Chi lo fa meglio, chi lo fa per primo, ci guadagna di
più.
D. - Cosa fare a livello politico per arginare le derive xenofobe
e neo-naziste?
R. - Innanzitutto direi che le classi dirigenti devono
aiutare a ridimensionare i toni, a non usare una “cultura del nemico”. Poi, per quello
che riguarda la crescita di un fenomeno marginale come quello che possiamo definire
“neo-nazista” o di intolleranza xenofoba in Europa, questo è il vero problema che
dobbiamo affrontare. Si tratta di un problema educativo, spirituale, culturale, politico,
civile e di ordine pubblico, ma il dibattito è sempre spostato su altro. (vv)