Somalia: l’impegno della Chiesa per l'emergenza umanitaria
Continua l’impegno della Chiesa per assistere le popolazioni somale in fuga dalla
fame e dalla guerra che si sono rifugiate negli Stati limitrofi, in particolare in
Kenya. Mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio,
in qualità di Presidente di Caritas Somalia, ha nominato come sua assistente Suzanna
Tkalec, del Catholic Relief Services (Crs). La signora Tkalec, secondo quanto riferisce
mons. Bertin all’agenzia Fides, avrà i seguenti compiti: fornire aggiornamenti settimanali
sulla situazione in Somalia e sui rifugiati somali in Kenya ed Etiopia; mantenere
i contatti con le altre Caritas che operano a Nairobi a favore dei rifugiati somali;
partecipare alle riunioni di coordinamento con le altre agenzie umanitarie presenti
a Nairobi. Anche il Jesuit Refugee Service (Jrs) ha annunciato l’intensificazione
delle sue attività in Etiopia e Kenya per aiutare i rifugiati somali. Secondo un comunicato
le squadre del Jrs nei campi di Nairobi e Kakuma assistono 12.500 persone, offrendo
supporto educativo, distribuendo cibo ed altri beni essenziali, oltre a fornire assistenza
medica, psicologica e finanziaria. Tra le persone più vulnerabili che ricevono assistenza
vi sono i malati mentali e le donne che hanno subito o rischiano di subire violenze
sessuali. In Etiopia, ad Addis Abeba, il Jrs assiste 4.000 somali, ed è nella fase
finale delle trattative con l’Unhcr (Alto Commissariato Onu per i Rifugiati) per fornire
assistenza psicosociale ed educativa nel campo di Dollo, dove sono accolti oltre 100.000
somali. Sempre secondo l'Unhcr, circa 40.000 persone hanno raggiunto Mogadiscio nel
solo mese di luglio, alla ricerca di viveri e acqua potabile mentre altre 30.000 si
sarebbero accampate in campi profughi alla periferia della capitale. Nella ‘contabilità’
dell’emergenza si stima inoltre che siano circa un migliaio al giorno i profughi che
approdano nella capitale contesa – alcuni quartieri sotto il controllo del governo
federale altri nelle mani degli insorti ‘Shebab’ – ogni giorno. “Il cibo non basata
per tutti e questo, al momento della consegna, provoca baruffe e litigi, puntualmente
sfociati in saccheggi, con l’immediata conseguenza di lasciare a mani vuote i più
piccoli, anziani e deboli” ha precisato Vivian Tan, portavoce dell’organismo dell'Onu.
(R.P.)