2011-07-26 14:18:33

Fondazione Populorum Progressio: 189 progetti in favore dei più poveri in America Latina e Caraibi


Si è conclusa la settimana scorsa a Belém do Pará in Brasile, la riunione annuale del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Populorum Progresso affidata, fin dalla sua nascita nel 1992, al Pontificio Consiglio Cor Unum. Come ogni anno, i presuli che la compongono – di Brasile, Messico, Perù, Colombia, Bolivia ed Ecuador – sotto la presidenza del cardinale Robert Sarah, presidente di Cor Unum, hanno deliberato una serie di progetti in favore delle comunità indigene, meticce ed afroamericane contadine dell’America Latina e Caraibi. Roberto Piermarini ha chiesto al sotto-segretario di Cor Unum e rappresentante del dicastero nella Fondazione, mons. Segundo Tejado Muñoz, che ha accompagnato in Brasile il cardinale Sarah, quali sono state le novità di questa riunione a Belem do Parà:RealAudioMP3

R. – La prima novità è stata quella di fare questa riunione in Brasile, a Belém do Pará, invitati dal membro del Consiglio di amministrazione, mons. Alberto Taveira Corrêa, arcivescovo di questa arcidiocesi. Una tra le novità più grandi poi è stata la presenza per la prima volta del cardinale Sarah, che è il presidente della Fondazione e anche il presidente del Pontificio Consiglio Cor unum. E’ stata una ricchezza enorme perché mons. Sarah viene da un periodo molto lungo di lavoro nella Congregazione dell’evangelizzazione dei popoli e tutta l’esperienza accumulata in questi anni è stata una grandissima ricchezza per tutti noi durante i colloqui e i momenti di riflessione che abbiamo avuto. Ha un’idea molto chiara dei problemi dell’America Latina e dei problemi dell’evangelizzazione, della carità e della missione, in tutto il mondo.

D. – Ci sono state novità per quanto riguarda la composizione del Consiglio?

R. – Quest’anno non ci sono state novità, proprio per la presenza, per la prima volta, del cardinale Sarah, che ha chiesto ai membri del Consiglio di rimanere ancora per un anno, anche se alcuni dovevano già essere rinnovati, in modo che lui potesse avere una conoscenza più vera dei meccanismi, delle funzioni anche dei membri del Consiglio. Quindi per quest’anno si sono un po’ congelate le cariche e non c’è stato rinnovamento. L’anno prossimo si ricomincerà di nuovo.

D. - Mons. Tejado, quali sono stati i progetti presentati e che fondi ha a disposizione la Fondazione Populorum Progressio?

R. – Quest’anno sono stati presentati 216 progetti. Una o due nazioni soltanto non hanno presentato progetti. Ne abbiamo potuti approvare 189 perché i fondi sono quelli che sono e dobbiamo sempre tagliare una parte dei finanziamenti o alcuni progetti che non vengono presentati in modo corretto. Sono progetti molto vari, molto diversi, cambiano da Paese a Paese, dall’Argentina, al Perù, al Brasile, al San Salvador, al Messico, c’è il problema di Haiti, per esempio… Quindi le modalità e le caratteristiche dei progetti sono veramente diverse. C’è chi chiede di fare un pozzo d’acqua, chi chiede di poter avere un luogo dove fare riunioni nei quartieri, nelle periferie; oppure chi vuole organizzare una piccola cooperativa per iniziare un lavoro…. Sono tutti progetti veramente molto ricchi, molto belli. Il problema è chiaramente che non avendo fondi non possiamo neanche aumentare il tetto dei progetti, che è di 15 mila dollari per progetto e che è pochissimo, diciamo la verità. Quindi a causa di questa mancanza di fondi non possiamo neanche approvare tutti i progetti che ci vengono presentati. Grazie a Dio la Conferenza episcopale italiana continua ad aiutarci e ad aiutare questa Fondazione del Papa.

D. – Potete controllare la realizzazione di questi progetti?

R. – Sì, esiste un controllo molto attento, serio, soprattutto da parte della stessa Chiesa locale. Il garante dei progetti è sempre il vescovo. Ogni vescovo può presentare due progetti e, soprattutto, è molto importante che si realizzino i rendiconto per poter fare poi un ulteriore intervento. Inoltre esiste anche un controllo da parte nostra, della nostra équipe di amministrazione, che si trova a Bogotà.

D. – Quali sono stati i problemi e le sfide emerse dalla riunione del Brasile per quello che riguarda la realtà dell’America Latina?

R. – Sono diversi. Sono i problemi di tutta l’America Latina e mi concentrerei sui problemi delle periferie delle grandi città. Il processo di urbanizzazione che si è prodotto in Europa negli anni ’60-’70 ancora è in atto in America Latina. Le persone che vivono in campagna tendono a trasferirsi nelle periferie delle grandi città, per esempio del Brasile, “los pueblos jovenes” di Lima e tante altre realtà. Questo processo di urbanizzazione crea anche problematiche molto concrete di povertà e di abbandono di molte di queste popolazioni. Un altro problema è il problema delle sètte che abbiamo potuto vedere in loco. Abbiamo visitato sia Belém do Pará, sia Castanhal, dove eravamo ospiti in una casa di esercizi e di ritiri e abbiamo potuto visitare le periferie di queste città: c’è una proliferazione immensa di questi piccoli luoghi di culto; però si tratta di sètte tra le più stravaganti, le più strane. Alcune provengono dall’America del nord, altre sono locali ma crescono veramente come funghi… è una cosa impressionante. Come ci dicevano i vescovi, dove la Chiesa è presente queste sètte poi tendono a sparire perché la gente è profondamente religiosa e anche se in una maniera molto semplice, ha una religiosità, una pietà che ha a che fare con la loro storia e quindi con la presenza della Chiesa tra queste popolazioni. Il problema è che molte di queste comunità non riescono a rispondere a tutte le necessità ed è veramente un grande problema.

D. – Mons. Tejado, di fronte a queste problematiche quale può essere una risposta della Chiesa?

R. – Credo che il Santo Padre lo indichi in una maniera chiara. Prima di tutto lo ha indicato molto chiaramente nelle sue encicliche, la “Deus caritas est” e soprattutto nella “Caritas in veritate”, la sua ultima enciclica: avere una sana antropologia, una sana visione dell’uomo. Noi lavoriamo con le comunità indigene, campesine; se noi consideriamo l’uomo solo nel suo aspetto materiale, orizzontale, dimenticando il vero sviluppo - che è lo sviluppo integrale, dove la dimensione trascendente ha un’importanza grandissima per tutti questi uomini e per queste popolazioni - noi veramente non aiutiamo questi popoli. Per questo ci vuole una nuova evangelizzazione, un nuovo slancio e - come il Santo Padre sta dicendo costantemente - una nuova evangelizzazione con nuovi metodi, come tante volte si è ripetuto. Per risolvere questo problema delle sètte chiaramente ci vogliono uno zelo e uno slancio nuovi nella Chiesa, per andare incontro anche a queste popolazioni che stanno aspettando l’annuncio del Vangelo. (bf)







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