Fondazione Populorum Progressio: 189 progetti in favore dei più poveri in America
Latina e Caraibi
Si è conclusa la settimana scorsa a Belém do Pará in Brasile, la riunione annuale
del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Populorum Progresso affidata, fin
dalla sua nascita nel 1992, al Pontificio Consiglio Cor Unum. Come ogni anno, i presuli
che la compongono – di Brasile, Messico, Perù, Colombia, Bolivia ed Ecuador – sotto
la presidenza del cardinale Robert Sarah, presidente di Cor Unum, hanno deliberato
una serie di progetti in favore delle comunità indigene, meticce ed afroamericane
contadine dell’America Latina e Caraibi. Roberto Piermarini ha chiesto al sotto-segretario
di Cor Unum e rappresentante del dicastero nella Fondazione, mons. Segundo Tejado
Muñoz, che ha accompagnato in Brasile il cardinale Sarah, quali sono state le
novità di questa riunione a Belem do Parà:
R. – La prima
novità è stata quella di fare questa riunione in Brasile, a Belém do Pará, invitati
dal membro del Consiglio di amministrazione, mons. Alberto Taveira Corrêa, arcivescovo
di questa arcidiocesi. Una tra le novità più grandi poi è stata la presenza per la
prima volta del cardinale Sarah, che è il presidente della Fondazione e anche il
presidente del Pontificio Consiglio Cor unum. E’ stata una ricchezza enorme perché
mons. Sarah viene da un periodo molto lungo di lavoro nella Congregazione dell’evangelizzazione
dei popoli e tutta l’esperienza accumulata in questi anni è stata una grandissima
ricchezza per tutti noi durante i colloqui e i momenti di riflessione che abbiamo
avuto. Ha un’idea molto chiara dei problemi dell’America Latina e dei problemi dell’evangelizzazione,
della carità e della missione, in tutto il mondo.
D. – Ci sono state
novità per quanto riguarda la composizione del Consiglio?
R. – Quest’anno
non ci sono state novità, proprio per la presenza, per la prima volta, del cardinale
Sarah, che ha chiesto ai membri del Consiglio di rimanere ancora per un anno, anche
se alcuni dovevano già essere rinnovati, in modo che lui potesse avere una conoscenza
più vera dei meccanismi, delle funzioni anche dei membri del Consiglio. Quindi per
quest’anno si sono un po’ congelate le cariche e non c’è stato rinnovamento. L’anno
prossimo si ricomincerà di nuovo.
D. - Mons. Tejado, quali sono stati
i progetti presentati e che fondi ha a disposizione la Fondazione Populorum Progressio?
R.
– Quest’anno sono stati presentati 216 progetti. Una o due nazioni soltanto non hanno
presentato progetti. Ne abbiamo potuti approvare 189 perché i fondi sono quelli che
sono e dobbiamo sempre tagliare una parte dei finanziamenti o alcuni progetti che
non vengono presentati in modo corretto. Sono progetti molto vari, molto diversi,
cambiano da Paese a Paese, dall’Argentina, al Perù, al Brasile, al San Salvador, al
Messico, c’è il problema di Haiti, per esempio… Quindi le modalità e le caratteristiche
dei progetti sono veramente diverse. C’è chi chiede di fare un pozzo d’acqua, chi
chiede di poter avere un luogo dove fare riunioni nei quartieri, nelle periferie;
oppure chi vuole organizzare una piccola cooperativa per iniziare un lavoro…. Sono
tutti progetti veramente molto ricchi, molto belli. Il problema è chiaramente che
non avendo fondi non possiamo neanche aumentare il tetto dei progetti, che è di 15
mila dollari per progetto e che è pochissimo, diciamo la verità. Quindi a causa di
questa mancanza di fondi non possiamo neanche approvare tutti i progetti che ci vengono
presentati. Grazie a Dio la Conferenza episcopale italiana continua ad aiutarci e
ad aiutare questa Fondazione del Papa.
D. – Potete controllare la realizzazione
di questi progetti?
R. – Sì, esiste un controllo molto attento, serio,
soprattutto da parte della stessa Chiesa locale. Il garante dei progetti è sempre
il vescovo. Ogni vescovo può presentare due progetti e, soprattutto, è molto importante
che si realizzino i rendiconto per poter fare poi un ulteriore intervento. Inoltre
esiste anche un controllo da parte nostra, della nostra équipe di amministrazione,
che si trova a Bogotà.
D. – Quali sono stati i problemi e le sfide emerse
dalla riunione del Brasile per quello che riguarda la realtà dell’America Latina?
R.
– Sono diversi. Sono i problemi di tutta l’America Latina e mi concentrerei sui problemi
delle periferie delle grandi città. Il processo di urbanizzazione che si è prodotto
in Europa negli anni ’60-’70 ancora è in atto in America Latina. Le persone che vivono
in campagna tendono a trasferirsi nelle periferie delle grandi città, per esempio
del Brasile, “los pueblos jovenes” di Lima e tante altre realtà. Questo processo di
urbanizzazione crea anche problematiche molto concrete di povertà e di abbandono di
molte di queste popolazioni. Un altro problema è il problema delle sètte che abbiamo
potuto vedere in loco. Abbiamo visitato sia Belém do Pará, sia Castanhal, dove eravamo
ospiti in una casa di esercizi e di ritiri e abbiamo potuto visitare le periferie
di queste città: c’è una proliferazione immensa di questi piccoli luoghi di culto;
però si tratta di sètte tra le più stravaganti, le più strane. Alcune provengono dall’America
del nord, altre sono locali ma crescono veramente come funghi… è una cosa impressionante.
Come ci dicevano i vescovi, dove la Chiesa è presente queste sètte poi tendono a sparire
perché la gente è profondamente religiosa e anche se in una maniera molto semplice,
ha una religiosità, una pietà che ha a che fare con la loro storia e quindi con la
presenza della Chiesa tra queste popolazioni. Il problema è che molte di queste comunità
non riescono a rispondere a tutte le necessità ed è veramente un grande problema.
D.
– Mons. Tejado, di fronte a queste problematiche quale può essere una risposta della
Chiesa?
R. – Credo che il Santo Padre lo indichi in una maniera chiara.
Prima di tutto lo ha indicato molto chiaramente nelle sue encicliche, la “Deus caritas
est” e soprattutto nella “Caritas in veritate”, la sua ultima enciclica: avere una
sana antropologia, una sana visione dell’uomo. Noi lavoriamo con le comunità indigene,
campesine; se noi consideriamo l’uomo solo nel suo aspetto materiale, orizzontale,
dimenticando il vero sviluppo - che è lo sviluppo integrale, dove la dimensione trascendente
ha un’importanza grandissima per tutti questi uomini e per queste popolazioni - noi
veramente non aiutiamo questi popoli. Per questo ci vuole una nuova evangelizzazione,
un nuovo slancio e - come il Santo Padre sta dicendo costantemente - una nuova evangelizzazione
con nuovi metodi, come tante volte si è ripetuto. Per risolvere questo problema delle
sètte chiaramente ci vogliono uno zelo e uno slancio nuovi nella Chiesa, per andare
incontro anche a queste popolazioni che stanno aspettando l’annuncio del Vangelo.
(bf)