Corno d'Africa, la risposta del Cesvi alla crisi umanitaria
Sempre più grave la crisi in tutto il Corno d’Africa stremato da siccità, fame e violenze.
Oltre 780 mila bambini rischiano di morire e altri 2 milioni in Etiopia, Kenya e Somalia
sono gravemente denutriti. Cresce anche il fronte dei Paesi donatori, nonostante gli
ostacoli posti dai ribelli islamici del gruppo integralista Shabaab che tengono isolate
molte zone. Nella rete di Ong "Agire" presente nell’area, c’è il Cesvi. Il responsabile
regionale Vincent Annoni spiega, al microfono di Gabriella Ceraso,quali sono le condizioni affinchè l’aiuto internazionale possa andare a buon fine.
R. – La prima
è che i fondi siano disponibili. Questo sta avvenendo, in particolare modo, per quanto
riguarda la Somalia. La seconda condizione che si deve verificare è anche quella di
capire esattamente cosa stia succedendo sul terreno e anche quali siano i reali bisogni
della popolazione. Questo, nella fascia nord del Kenya, che è una anche delle più
colpite, sta avvenendo perché l’accesso per le organizzazioni umanitarie è più facile.
Per quanto riguarda il Sud della Somalia, procede tutto un po’ più lentamente. Noi,
come Cesvi, in questo momento stiamo facendo indagini sui principali campi di sfollati
a Mogadiscio, lungo la frontiera con il Kenya, per andare ad individuare i bisogni
in termini, ad esempio, di protezione dell’infanzia.
D. – Continua,
intanto, il braccio di ferro con gli estremisti islamici del gruppo integralista islamico
Shabaab che controllano il territorio, non permettono l’accesso alle organizzazioni
umanitarie. Non riuscite proprio a trattare con loro?
R. – Non possiamo
considerarli come una controparte monolitica con la quale interagire. Al contrario,
ogni singolo territorio nel sud della Somalia ha il proprio referente che decide un
po’ a modo proprio. Chiaramente, le Organizzazioni internazionali lavorano con la
società civile, fornendo tutta una serie di conoscenze, di mezzi, in modo che la società
somala sia in grado di rispondere a questo bisogno.
D. – Muoiono in
media cinque bambini al giorno in alcuni campi profughi...
R. – E' vero,
i dati sulla malnutrizione infantile sono molto alti. In questo caso specifico stiamo
parlando dei campi rifugiati di Dadaab in Kenya, al confine con la Somalia. Sono campi
profughi realizzati per 90 mila persone che oggi ne accolgono 350 mila. Spesso sono
famiglie che arrivano dopo chilometri e chilometri di traversata nel deserto e i bambini
che sono già debilitati dal viaggio e dalla siccità degli anni precedenti, nel momento
in cui dovessero avere la diarrea, se non sono subito assistiti, muoiono nel giro
di un giorno.
D. - C’è anche un altro inquietante fenomeno, quello dei
trafficanti di uomini che speculano proprio su questi esodi di massa dalla Somalia
…
R. - Sì, purtroppo, è vero. Queste persone che si fanno pagare per
attività illegali non assistono in realtà gli esuli nella traversata, ma li lasciano
in mezzo al deserto e in alcuni casi ne approfittano per togliergli le ultime cose,
se non addirittura per fargli violenza.
D. – Come Cesvi, nel contesto
più ampio di Agire ed insieme con altre organizzazioni, cosa sperate anche a livello
di comunità internazionale?
R. – Noi ci auguriamo di fornire il prima
possibile, e il più possibile, assistenza e che sia la più pertinente possibile. Questo,
nel momento in cui ci sono le risorse, è possibile. La seconda traccia sulla quale
cerchiamo di lavorare è più ampia, più globale. Si tratta di riportare la situazione
che sta vivendo il Corno d’Africa all’attenzione della comunità internazionale e all’attenzione
di tutti i cittadini. Leggendo le prime pagine dei giornali su internet, io non vedo
riportata la situazione che qui è drammatica. Questo mi preoccupa. (bf)