2011-07-23 08:07:05

Libia: nuovi raid su Tripoli. Il regime smentisce l'attacco dei ribelli contro la capitale


Il Regime libico ha smentito l’attacco contro una struttura militare a Tripoli, annunciato ieri dai ribelli. Intanto in queste ore diverse esplosioni sono state udite nel centro della capitale. Il servizio di Eugenio Bonanata: RealAudioMP3

E' rimasta, intanto, lettera morta il mandato di cattura emesso nei confronti di Muhammar Gheddafi dal Tribunale penale internazionale dell’Aja. Perché non è stato dato seguito all’iter attivato dal procuratore, Luis Moreno Ocampo? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Vincenzo Buonomo, docente di Diritto internazionale all’Università Lateranense: RealAudioMP3

R. - Resta il problema dell’implementazione delle decisioni del procuratore, non soltanto nel caso Gheddafi, bisogna subito ricordarlo, ma anche in altri casi, in altri Paesi africani: penso per esempio al Sudan. Resta, quindi il problema dell’impegno dei singoli Stati a dare attuazione alle indicazioni che provengono da istanze internazionali. Nel caso specifico c’è anche una difficoltà che è subentrata nell’ultimo periodo e cioè organizzazioni non governative, come Amnesty International o Human Rights Watch, hanno praticamente messo in discussione i punti di partenza dello stesso mandato di cattura emesso dalla corte, in particolare per quanto riguarda i fatti che sarebbero avvenuti a Zawaya, nel corso della repressione fatta dalle truppe governative, e sulla cui base è stato costruito il mandato. Dobbiamo ricordare che il mandato è stato emesso per crimini commessi nel mese di febbraio e non per situazioni successive all’inizio dell’attacco alla Libia.
D. - La maggior parte degli Stati africani sostiene che questa incriminazione risponde esclusivamente agli interessi occidentali. Quanto una frattura così forte può danneggiare il Tribunale penale internazionale, almeno dal punto di vista della credibilità?
R. - Il Tribunale penale internazionale al momento rappresenta un punto di arrivo di una riflessione fatta dalla Comunità internazionale, secondo cui non ci può essere impunità neanche per capi di Stato, capi di governo o responsabili degli Stati. Tra l’altro, nel caso specifico del mandato nei riguardi di Gheddafi, è la prima volta che il Tribunale lo emette a conflitto ancora in corso e non alla fine del conflitto. Certamente per quanto riguarda il caso dell’Africa, basti citare l’esempio del Darfur con le accuse di genocidio rivolte dal Tribunale internazionale al presidente del Sudan che sono rimaste lettera morta: perché? Perché all’accusa del Tribunale, o meglio all’atto del Tribunale, dovrebbe corrispondere l’impegno degli Stati a garantire l’arresto o, quanto meno, la delegittimazione dal punto di vista politico di colui che è oggetto del mandato di cattura. Questo - non solo in Africa, ma anche in altri contesti geografici - fino ad oggi non è mai avvenuto.
D. - Su una cosa non ci sono dubbi: Gheddafi continua a dividere la Comunità internazionale. Perché, secondo lei?
R. – Anzitutto, Gheddafi divide un Paese, divide un popolo. Lì c’è una contrapposizione tra persone che vivono in un contesto geograficamente già diviso, ma di fatto un contesto che dal punto di vista sociologico poteva dirsi in qualche modo unito: Gheddafi già divide lì. Dall’altra parte, divide la Comunità internazionale per interessi che non riguardano soltanto la questione libica interna, ma riguardano anche la gestione di risorse, la condivisione di risorse e poi soprattutto l’esposizione della Libia nei confronti di altri Paesi con cui la Libia ha accordi di tipo commerciale o di tipo economico più generale. (ma)











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