Dalla metà degli anni ’80, grazie a una serie di associazioni, giungono in Italia
nei mesi estivi centinaia di bambini originari del Sahara Occidentale, che vivono
per il resto dell’anno nei campi profughi in Algeria. Appartengono al popolo dei Sahrawi,
le antiche tribù del deserto che, passato dal colonialismo spagnolo all'amministrazione
del Marocco, lotta da anni per l’indipendenza. Ai piccoli viene offerta la possibilità
di una vacanza fuori dai campi, assistenza sanitaria e l’occasione di parlare all’Europa
della loro drammatica condizione. A Roma, sono ospitati al Borgo Don Bosco. Ma sentiamo
Luca Attanasio:
Ottobre 2010,
oltre 20 mila persone, in gran parte giovani, donne, bambini, piantano 80 tende a
Gdeim Izik nei pressi di El Aiun, la capitale dei territori occupati dal Marocco:
chiedono pane e rispetto. Per molti osservatori sono proprio quei ragazzi del Sahara
Occidentale a innescare la miccia che di lì a poco incendierà tutto il Nordafrica
e il Medio Oriente. I Sahrawi - il popolo del deserto, che non riesce a diventare
Stato, nascosti dietro il muro più lungo del mondo, 2.700 km, o ammassati nei campi
profughi a Tindouf in Algeria - attendono da venti anni che si svolga il referendum
approvato dall’Onu sull’autodeterminazione. Sidahmed Bachir,
un giovane sahrawi da molti anni in Italia:
“Il mio popolo soffre al
centro del deserto dell’Algeria e quei pochi che vivono nei territori occupati sono
soggetti a maltrattamenti da parte delle autorità marocchine e non hanno assolutamente
possibilità di sfruttare le risorse ricchissime del territorio”.
Per
fargli passare un’estate serena e sana ma anche far conoscere al nostro Paese la loro
triste sorte molte associazioni italiane accolgono su tutto il territorio 300 bambini
sahrawi. Marco Ciccotelli responsabile di “Sahara Libre”:
“Quest’anno
sono arrivati 40 disabili e 30 celiaci. Durante questa prima settimana abbiamo fatto
le visite mediche. Negli anni ci hanno colpito molte cose di questi bambini: sono
educati, rispettosi e ansiosi di far conoscere la propria cultura con balli, canti…
Una delle prime cose che ci hanno chiesto è di sapere da che parte fosse la Mecca
per poter eseguire i loro riti di preghiera ogni giorno”.