Asia Bibi. Paul Bhatti: serve più prudenza per non fomentare gli estremisti
Sono passati oltre 760 giorni dall’arresto nel 2009 di Asia Bibi, la donna cristiana
45.enne, madre di cinque figli, accusata in Pakistan di blasfemia. Indebolita nel
fisico e prostrata dalle minacce da parte di estremisti islamici, Asia Bibi in cella
continua a pregare e spera nella liberazione. Ma la sua famiglia, costretta a vivere
in clandestinità, teme che possa ripetersi la vicenda di Qamar David, un cristiano
pakistano condannato all’ergastolo per blasfemia e deceduto in circostanze sospette
nella prigione di Karachi. In Pakistan, intanto, gli avvocati e tutte le forze impegnate
ad ottenere il rilascio di Asia Bibi, hanno scelto di lavorare in silenzio. Spiega
i motivi di questa decisione al microfono di Amedeo Lomonaco il consigliere
speciale del primo ministro per gli Affari delle Minoranze Religiose, Paul Bhatti,
fratello del ministro cattolico per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, ucciso lo scorso
2 marzo da estremisti islamici ad Islamabad:
R. – Ci siamo
resi conto che più abbiamo esaltato il caso, più problemi abbiamo avuto a partire
dal governo del Punjab e - considerando anche la vicenda di mio fratello Shabbaz -
abbiamo adottato questo metodo del silenzio perché ci è sembrata la via più giusta.
Abbiamo visto che più si esaltava il caso, più si peggiorava la situazione per lei
e per noi. Anche se noi stiamo facendo grandi sforzi, insieme agli sforzi della Francia,
alle manifestazioni organizzate in Italia e in altri Paesi europei, abbiamo visto
che tutto questo inizia a fomentare gli estremisti e tutto si riduce ad una presa
di posizione dalla quale non si uscirà mai. Noi non vogliamo un confronto con gli
estremisti e con i fondamentalisti; quello che vogliamo è che nella nostra società
non ci siano più Asia Bibi …
D. – Possiamo però essere speranzosi, nel
caso di Asia Bibi? Possiamo sperare che nei prossimi mesi si arrivi alla liberazione?
R.
– Non posso dire se avverrà nei prossimi mesi, però stiamo facendo tutto il possibile
perché ciò avvenga al più presto e senza rischi per lei e per gli altri. Stiamo lavorando
su questo. Anche gli ambasciatori occidentali si stanno interessando molto e sono
coinvolti, in particolare, la Francia con il presidente, che si è interessato direttamente
al caso. Ma non è questo che ci serve: ci serve qualcosa di più. Ci serve di parlare
con le persone che sono qui per agire, per vedere insieme quali possano essere i metodi
più idonei per appoggiare le minoranze.
D. – Quindi, un percorso giuridico
per aiutare Asia Bibi e soprattutto per non lasciarla sola, perché è vero che è grave
la sentenza nei suoi confronti, ma quello che fa ancora di più crescere i timori è
la condanna di morte da parte degli estremisti …
R. – Sì, quella è la
stessa condanna che domani toccherà anche a me: loro condannano chiunque sia contro
di loro. E condannano anche chi aiuta una persona accusata di blasfemia, perché secondo
il loro modo di vedere per il fatto stesso che io stia aiutando Aia Bibi, anche io
sono condannato. Lo sono perché sto aiutando una persona accusata di blasfemia. Perciò
anche io ho commesso lo stesso reato, secondo loro.
D. – Però, questo
non la ferma, sicuramente, nel suo lavoro, anche nel ricordo di suo fratello che è
stato ucciso proprio dagli estremisti...
R. – No, non è che questo ci
fermi, però dobbiamo pur arrivare ad una conclusione, dobbiamo arrivare ad un cambiamento
radicale, ricorrendo a metodi giusti, diplomatici. E' questo ciò che serve, non manifestazioni
che non fanno altro che ulteriormente fomentare gli estremisti. (gf)