Italia: preoccupazione del volontariato per i tagli alla cooperazione internazionale
Slitta a martedì prossimo il voto al Senato sul disegno di legge di rifinanziamento
delle missioni internazionali. L'assemblea di Palazzo Madama ha infatti accolto la
proposta del presidente di turno, Vannino Chiti. Oggi la discussione generale sul
provvedimento che riguarda anche la partecipazione dell’Italia alle operazioni militari
in Libia, su cui la Lega non è d'accordo. Intanto, all’interno del mondo del volontariato,
è allarme perché il decreto varato dal Consiglio dei Ministri il 12 luglio scorso
sulla proroga e il rifinanziamento delle missioni all’estero, contiene tagli ai fondi
destinati alla cooperazione internazionale che di fatto azzerano il volontariato nei
Paesi in via di sviluppo. Adriana Masotti ha sentito Nino Sergi, presidente
della ONG Intersos.
R. – Il volontariato,
le attività delle organizzazioni non governative, non solo si annulla questa parte
ma un po’ tutta la cooperazione italiana, cioè tutte queste attività che fanno sì
che l’Italia dia un’immagine di sé positiva, forte, di rapporti umani, di comprensione
dell’altro e di aiuto. Sono rapporti che alla lunga poi pagano perché l’Italia a livello
internazionale viene considerata maggiormente. Noi oggi invece stiamo dando - il decreto
ne è la dimostrazione - l’immagine di un’Italia all’estero basata solo sulle armi,
sulla missione militare. In realtà, il decreto missioni - che si intitola “proroga
degli interventi di cooperazione e del rafforzamento dei processi di pace” e poi solamente
nella seconda parte dice “nonché delle missioni militari internazionali nel quadro
delle Nazioni Unite” – stanzia l’88,5 per cento dei fondi per le missioni militari
e l’1,5 per cento per la cooperazione civile.
D. – All’interno dei fondi
destinati alle missioni all’estero, voi dite, è stata ridotta la parte per i progetti
di sviluppo: è così?
R. - Piccoli dati lo dimostrano molto chiaramente.
Nel 2008 c’era un miliardo per le missioni all’estero e di questo miliardo quasi il
10 per cento era per la cooperazione civile - perciò per lo sviluppo, per l’attenzione
ai bisogni delle popolazioni… e il 90 per cento era per l’intervento militare. Oggi
siamo a un miliardo e mezzo, perciò il 50 per cento in più di stanziamento per fronteggiare
il costo delle missioni, ma con una riduzione della cooperazione civile che in questo
secondo semestre è l’1,5 per cento di quell’ammontare e, visto che il primo semestre
era al 3,6, siamo in una media di 2,4 per cento. Perciò 2,4 rispetto al 97,6 che vanno
per le varie missioni militari. Questo noi non possiamo sopportarlo. Lo abbiamo denunciato
e abbiamo inviato delle petizioni al parlamento; alcuni parlamentari ci stanno ascoltando
e hanno presentato degli emendamenti. Speriamo che il nostro governo possa modificare
questo tipo di decisioni. Ripeto: se l’Italia vuole mantenere un suo ruolo internazionale
non deve basarlo solo sulla presenza delle armi perché comunque prima o poi cesserà
e non rimarrà più nulla. Non saranno stati creati altri tipi di rapporti con le popolazioni,
con le amministrazioni locali, per cercare di dare risposte ai loro bisogni. Ormai
molto spesso la nostra politica è centrata all’interno dei confini nazionali, senza
accorgerci che il mondo è molto più grande e per il bene dell’Italia è richiesto un
rapporto con i Paesi pensando anche a un futuro in cui le relazioni con questi Paesi
- che passano anche attraverso gli aiuti, la cooperazione … - possano essere utili
anche a noi.
D. – Questo tirarsi indietro dell’Italia riguardo alla
cooperazione è effetto della crisi economica o è dovuto a qualche altra cosa?
R.
- La crisi ovviamente c’è e l’effetto della crisi si fa sentire, però in questi ultimi
anni abbiamo aumentato del 50 per cento il costo delle missioni internazionali e la
scelta è stata fatta sull’intervento militare. Bene, se questa è la scelta, noi -
organizzazioni non governative, ma non solo, anche chi ha questo tipo di rapporti
con questi Paesi, -diciamo che è un grandissimo errore per il nostro Paese. Un miliardo
e mezzo è rimasto e non è che per effetto della crisi è stato dimezzato: è stato quasi
annullato l’intervento di cooperazione rispetto a quello militare e questa è una scelta
politica, non é la crisi.
D. - Le organizzazioni non governative contestano
anche la permanenza di una task force, una struttura di gestione e controllo dei progetti
di cooperazione che a questo punto gestirebbe il nulla?
R. – Sì, è una
task force che esiste e in modo particolare è stata creata per gli interventi in Afghanistan
e Pakistan. Finché c’erano i fondi aveva ragion d’essere. Oggi questi fondi non ci
sono più; rimane una struttura con che cosa? Perciò abbiamo due centri decisionali
su questa attività, ma basata sul nulla perché i fondi non ci sono più. Continuiamo
ad alimentare strutture che ormai sono diventate inutili. Allora anche qui vogliamo
chiarezza e vogliamo che, almeno su quei pochissimi fondi che ci sono, la Direzione
generale cooperazione allo sviluppo rimanga l’unico centro decisionale. (bf)