“L’euro non è in pericolo”, ma l’eventualità di un default della Grecia “non è esclusa”
sebbene sia da scongiurare. Lo ha dichiarato il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude
Juncker, arrivando al vertice di emergenza dei Paesi dell’Eurozona, in corso a Bruxelles.
Juncker ha spiegato che il default selettivo di Atene rimane al momento una possibilità,
affermando poi che non è stato trovato un accordo definitivo riguardo all'imposizione
di una tassa sulle banche che finanzi il riacquisto del debito greco. Di tale ipotesi
avevano parlato in un vertice notturno il presidente francese Nicolas Sarkozy e la
cancelliera tedesca Angela Merkel, stabilendo una linea comune sul salvataggio della
Grecia. L’incontro - i cui contenuti al momento non sono ancora noti - ha comunque
rafforzato l’asse franco-tedesco in seno all’Europa. Ce ne parla Adriana Cerretelli,
corrispondente del Sole24Ore da Bruxelles, al microfono di Giada Aquilino:
R. – Io direi
che c’è un’Europa nella confusione più totale. Da una parte vuole agire perché sa
che non può non agire, altrimenti i mercati avranno il sopravvento e probabilmente
il contagio greco si espanderà in tutta Europa; e dall’altra, non sa come agire perché
non c’è un accordo definitivo tra i vari Paesi. Ora, il punto centrale – come sempre
– è la questione Merkel-Sarkozy. Il punto di grande diverbio è il coinvolgimento dei
creditori privati, che sono sostanzialmente le banche. La Germania, fin dal primo
momento, ha invocato questo coinvolgimento sostenendo che non è giusto che siano solo
i contribuenti tedeschi a pagare per la crisi debitoria della Grecia. A questa posizione
hanno controbattuto subito, e con altrettanta determinazione, non solo la Francia
ma la stessa Bce, con il suo presidente Trichet, affermando che un coinvolgimento
dei privati equivarrebbe ad una dichiarazione di default della Grecia; questo porterebbe
ad un contagio del problema greco al resto dell’area euro, all’intera Europa e forse
alla stessa economia globale.
D. – Al momento il debito greco da chi
è detenuto?
R. – Il debito greco è detenuto da diversi Paesi; il primo,
il più esposto, è la Francia, il secondo è la Germania, il terzo è la Gran Bretagna
e poi l’Italia, con quattro miliardi.
D. – Perché il piano varato nel
2010 non è stato sufficiente a salvare i conti della Grecia?
R. – Perché,
come sempre, le trattative per l’intesa si sono protratte all’infinito. Più si prolungano
i negoziati per risolvere i problemi, più salgono i costi perché i mercati sono invogliati
a speculare, a lucrarci sopra. Non è un caso che lo stesso Fondo monetario internazionale
abbia spinto l’Europa a fare in fretta per trovare una soluzione. Nel caso della Grecia,
allora 110 miliardi potevano sembrare sufficienti se accompagnati da un piano di austerità
credibile. Nella realtà, poi, da una parte i mercati hanno continuato a non credere
a questo tipo di salvataggio, dall’altra la Grecia ha avuto una situazione di instabilità
socio-politica che si è andata aggravando nel tempo e dunque anche l’attuazione del
piano concordato non è stata quella prevista. Il motivo per cui si teme il peggio
è che il governo Papandreu non abbia la forza di attuare le misure previste, proprio
perché anche in queste ore i tassisti si sono messi a manifestare con violenza contro
la polizia. Cioè, non passa giorno che queste categorie – più colpite delle altre
– non scendano in piazza.
D. – Quali sono gli altri Paesi più a rischio?
R.
– Portogallo e Irlanda in prima linea, poi c’è la Spagna, poi possono arrivare l’Italia
e il Belgio, in quanto Paesi a più alto debito. Ma direi che se, purtroppo, il caso
greco uscisse dal controllo della politica, anche un Paese come la Francia potrebbe
andare nel mirino dei mercati ed essere esposto alla speculazione. (gf)