Allarme Onu per la Somalia. La fame uccide nel silenzio
Cresce la preoccupazione internazionale per l'emergenza siccità nel Corno d'Africa,
dove oltre 10 milioni di persone stanno soffrendo la fame e la sete. Le Nazioni Unite
hanno ufficialmente dichiarato lo stato di carestia per due regioni della Somalia
controllate dai ribelli: si tratta di Bakool e di Lower Shabelle. Sull’emergenza somala,
Amedeo Lomonaco ha intervistato l’africanista del quotidiano ‘La Stampa’, Domenico
Quirico, da poco rientrato dal Paese africano:
R. – Il problema,
sostanzialmente, è la mancanza di soldi. Mancano soldi alle agenzie delle Nazioni
Unite, che devono intervenire, mancano cifre considerevoli all’Alto Commissariato
dei Rifugiati e così via. Sono stati versati soltanto la metà dei fondi necessari
per un intervento d’urgenza in una zona in cui sono a rischio carestia circa dieci
milioni di persone. Penso che, anche grazie all’intervento del Papa all’Angelus, la
mobilitazione cominci, poco a poco, ad avviarsi. Ma non c’è tempo da perdere.
D.
– Non c’è tempo da perdere e sicuramente non si può dire che non ci si sia accorti
di quello che sta accadendo. Tu cos’hai visto in Somalia?
R. – Diciamo
che la morte per fame è la più “discreta” delle varie forme di morte, perché si muore
in silenzio. Non si urla, non si grida. I morti per fame si spengono. Le organizzazioni
di soccorso internazionali dovrebbero mobilitare le coscienze e certamente le fotografie
possono fare molto. All’epoca della prima carestia, all’inizio degli anni ’90, l’intervento
nacque da uno straordinario reportage televisivo: il mondo si accorse che c’era una
parte di se stesso che stava morendo di fame, che era già morta di fame. Le fotografie
possono fare molto, ma credo che bisognerebbe raccontare come avviene il processo
per cui una persona muore di fame. Raccontare, cioè, come questo tipo di morte asciughi
progressivamente ogni energia vitale, riduca le ossa a dei moncherini, porti via qualsiasi
cellula di vita per passare poi al cervello. Non si reagisce più, prende il sopravvento
l’abulia, il disinteresse. L’altra reazione, invece, è quella della ferocia, dell’accanimento
disperato nel cercare qualcosa da mangiare: cibo, cibo, cibo. Sei disposto anche ad
uccidere altre persone per avere del cibo. Ci sono delle madri, in queste zone, che
hanno gettato via i figli perché ormai il loro cervello era obnubilato dalla necessità
di mangiare, di ingerire qualsiasi cosa. Raccontiamo allora cosa vuol dire morire
per fame anche soltanto per una persona e non per mille, diecimila, centomila o dieci
milioni e quale potrebbe essere l’apocalittico scenario del Corno d’Africa. Scenario
che, per fortuna, non si verificherà, perché il mondo, anche se distratto, egoista
ed avaro, è ancora in grado di intervenire. Raccontiamo questo e allora, forse, le
nostre coscienze si mobiliterebbero più in fretta di quanto avviene oggi. Soprattutto
si deve intervenire in Somalia, non soltanto con la carità internazionale. Bisogna
che ci sia un intervento di tipo politico.
D. – Un intervento politico
anche per porre fine alla perdurante assenza dello Stato somalo…
R.
– La Somalia è una specie di straordinario vuoto che le grandi potenze, l’Occidente
ricco, ha posto nella propria coscienza. In passato, quando la Somalia è diventata
un elemento dell’internazionale islamica, c’è stato un certo interesse, perché sembrava
che Bin Laden potesse avere anche lì dei suoi ‘dentellati’. Allora si è operato in
un modo doppiamente criminale: far fare cioè una guerra per ‘procura’ tra africani.
In questo spazio di vuoto, di silenzio, è successo di tutto in questo Paese. Si è
assistito alla ferocia più terribile, a manifestazioni più esasperate del fanatismo
religioso. Un intero popolo è rimasto in ostaggio di alcuni elementi criminali di
varia natura. Questa è la Somalia di oggi, questa è la Somalia che affronta l’ennesima
tappa del suo calvario, l’ennesima carestia. Ma questo non è un problema dovuto soltanto
ad una catastrofe di tipo meteorologico, cioè perché non piove. I somali convivono
con la siccità da sempre ed hanno delle tecniche primitive ma raffinate per sopravvivere.
In questo sono abilissimi. Quello che oggi trasforma quella che potrebbe essere una
situazione difficile in una catastrofe è, come sempre, la realtà politica di queste
zone. Qualsiasi intervento, quindi, non può prescindere, questa volta, dal considerare
il carattere politico di questa carestia. Il problema della carestia si ripresenterà
sistematicamente ogni anno, per i prossimi 20, 40, 50, 100 anni. La comunità internazionale
è disposta ad accettare questo tipo di discorso? Il problema è questo. (vv)