L'embrione umano non si "brevetta": lobby europee premono per ribaltare questo assunto
La Corte di giustizia dell’Unione Europea è chiamata nei prossimi mesi a pronunciarsi
sulla nozione di "utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali",
una definizione già prevista da una direttiva europea del ’98, che tuttavia si presta
a diverse interpretazioni. Il dibattito sulla brevettabilità dei sistemi per produrre
cellule, in un contesto commerciale ed economico, riaccende così quello etico-giuridico
sullo statuto dell’embrione e divide la comunità scientifica. Il servizio di Fabio
Colagrande:
Il caso nasce
in Germania, dopo che il Tribunale federale in materia di brevetti – rispondendo a
un ricorso dell’associazione Greenpeace – aveva dichiarato nullo un brevetto relativo
a cellule prodotte a partire da cellule staminali embrionali umane. Il titolare del
brevetto si era poi rivolto in appello alla Corte federale di Cassazione tedesca,
che decise di sospendere il giudizio e di chiedere che la Corte di giustizia dell’Ue
si pronunciasse sull’interpretazione della nozione di "embrione umano". La materia
è infatti già disciplinata in Europa da una direttiva che vieta "l’utilizzazione di
embrioni umani a fini industriali o commerciali", ma è proprio sull’interpretazione
di questa norma che si è aperto il contenzioso. Il 10 marzo scorso, l’avvocato generale
della Corte, Yves Bot, ha chiuso la sua istruttoria presentando delle conclusioni
che – dando un’interpretazione estensiva del concetto di embrione umano – confermano
la nullità del brevetto. Nei mesi successivi, sulla rivista "Nature" sono apparsi
due appelli di segno apposto di due gruppi di studiosi, rispettivamente favorevoli
e contrari alla brevettabilità delle cellule staminali embrionali. Sul tema, sentiamo
il prof. Antonio G. Spagnolo, direttore dell’Istituto di Bioetica
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma:
R. – Le cellule staminali,
cosiddette “embrionali”, possono essere di due tipi. Ci sono cellule staminali "totipotenti",
e ogni singola cellula di queeto tipo è in grado di riprodurre un embrione: quindi,
se io distruggo una cellula staminale totipotente, sostanzialmente sto distruggendo
un embrione. Ci sono poi le cellule staminali "pluripotenti": sono cellule che, in
realtà, provenendo dagli embrioni, possono dare origini ad alcuni tessuti, ma non
a tutti. Ecco, questo è il punto nodale della questione. Chi rileva che la negazione
del brevetto non abbia giustificazione dice: le nostre cellule che abbiamo prodotto
sono cellule staminali pluripotenti, cioè cellule che sicuramente non danno origine
ad un embrione. Tuttavia, come ha segnalato l’avvocato generale, Yves Bot, qui nasce
il problema, poiché per potere avere cellule staminali pluripotenti – che
si auspica possano servire per curare, ma questo è un aspetto che dev’essere chiarito,
perché ci sono ancora grosse illusioni su questa possibilità – io devo distruggere
un embrione. Ecco allora che, pur non essendo in sé la cellula pluripotente un embrione,
in realtà per poterla ottenere io devo distruggere un embrione.
D. –
A livello degli Stati membri dell’Unione Europea, esiste una nozione comune di “embrione
umano”?
R. – Quando alcuni anni fa il parlamento europeo e il Consiglio
d’Europa cercarono di elaborare una sorta di mercato comune delle idee in bioetica,
elaborando la cosiddetta “Convenzione di bioetica” nel 1996, in quella occasione l’obiettivo
era di arrivare a definizioni che potessero trovare d’accordo un po’ tutti gli Stati
membri. In realtà, su molte cose si arrivò all’accordo – sulla sperimentazione, sul
consenso, sui trapianti, sul fine vita, ecc.– mentre sulla nozione di “embrione” vera
e propria si slittò e si disse: per la questione dell’embrione, si rimanda alle legislazioni
dei vari Stati. Quindi, a tutt’oggi non c’è mai stata una visione comunitaria della
nozione di “embrione”, e l’avvocato Bot sottolinea che bisogna arrivare a fare questo.
D.
– Nel caso che la Corte di giustizia dell’Unione Europea, seguendo il parere del suo
avvocato generale Bot, dicesse “no” anche a questo brevetto che arriva dalla Germania,
potremmo dire che si è fatto un importante passo avanti verso una definizione comunitaria
di “embrione umano”?
R. – Direi assolutamente di sì, perché le considerazioni
dell’avvocato Bot e anche la dettagliata analisi che svolge, considerando i diversi
stadi dello sviluppo dell’embrione, sono una vera e propria affermazione di tipo antropologico,
e quindi sicuramente il dibattito sull’embrione avrebbe raggiunto uno stadio di maggiore
consapevolezza. (gf)