Commento di padre Lombardi alla vicenda della diocesi di Cloyne
Sul Rapporto stilato dal governo irlandese riguardante la diocesi di Cloyne si sofferma
il direttore della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi. Le sue, precisa, sono
riflessioni personali e "non costituiscono in alcun modo la risposta ufficiale della
Santa Sede", che invece risponderà "nelle forme e nei tempi appropriati". Di seguito,
la considerazione di padre Lombardi:
Il Rapporto della Commissione di inchiesta
irlandese sui casi di abuso su minori commessi da membri del clero nella Diocesi di
Cloyne, pubblicato il 13 luglio, come quello che lo aveva preceduto sulla Arcidiocesi
di Dublino, ha ancora una volta messo in luce la gravità dei fatti avvenuti, questa
volta anche in un periodo piuttosto recente. Il periodo preso in esame dal nuovo Rapporto
va infatti dal 1.1.1996 al 1.2.2009. Le autorità irlandesi hanno inoltrato a Roma
tramite il Nunzio copia del Rapporto chiedendo una reazione da parte della Santa Sede;
si deve quindi prevedere che essa darà i suoi commenti e le sue risposte nelle forme
e nei tempi appropriati. Per parte nostra pensiamo comunque opportuno esprimere alcune
considerazioni sul Rapporto e i suoi echi, considerazioni che – come appena detto
- non costituiscono però in alcun modo la risposta ufficiale della Santa Sede.
Anzitutto
ci sembra doveroso richiamare e rinnovare gli intensi sentimenti di dolore e di riprovazione
espressi dal Papa in occasione del suo incontro con i vescovi irlandesi, convocati
in Vaticano l’11 dicembre del 2009 proprio per affrontare insieme la difficile situazione
della Chiesa in Irlanda alla luce del Rapporto sull’Arcidiocesi di Dublino, allora
recentemente pubblicato. Il Papa parlava allora apertamente di “sconcerto e vergogna”
per “i crimini odiosi”. E’ da ricordare che proprio in seguito a tale incontro, e
ad uno successivo del 15 e 16 febbraio 2010, il Papa ha pubblicato la sua nota e ampia
Lettera ai Cattolici dell’Irlanda, del 19 marzo successivo, in cui si trovano le espressioni
più forti ed eloquenti di partecipazione alle sofferenze delle vittime e delle loro
famiglie, come pure di richiamo alle terribili responsabilità dei colpevoli e alle
mancanze di responsabili della Chiesa nei loro compiti di governo o di sorveglianza.
Una delle azioni concrete seguite alla Lettera del Papa è la visita apostolica alla
Chiesa in Irlanda, articolata nelle visite alle quattro archidiocesi, ai seminari
e alle Congregazioni religiose, visita i cui risultati sono in uno stadio avanzato
di studio e di valutazione.
E’ giusto quindi riconoscere l’impegno deciso
posto dalla Santa Sede nell’incoraggiare e appoggiare efficacemente tutti gli sforzi
della Chiesa in Irlanda per la “guarigione ed il rinnovamento” necessari per superare
definitivamente la crisi connessa alla drammatica piaga degli abusi sessuali nei confronti
di minori. Come è giusto anche riconoscere l’impegno posto dalla Santa Sede sul versante
normativo, con la chiarificazione e il rinnovamento delle norme canoniche riguardanti
la materia degli abusi sessuali su minori, che hanno avuto - come noto - tappe fondamentali
con il Motu proprio del 2001, la unificazione delle competenze sotto la Congregazione
per la Dottrina della Fede, e i successivi aggiornamenti fino alla promulgazione delle
norme riformulate nel luglio del 2010.
Per quanto riguarda il passato
più lontano, ha avuto in questi giorni particolare risonanza una lettera del 1997,
cioè di 14 anni fa, - riportata nel nuovo Rapporto, ma già pubblicata nel gennaio
scorso - indirizzata dall’allora Nunzio in Irlanda alla Conferenza Episcopale, con
la quale, in base a indicazioni ricevute dalla Congregazione del Clero, metteva in
rilievo che il Documento “Child Sexual Abuse: Framework for a Church Response” si
prestava ad obiezioni, perché conteneva aspetti la cui compatibilità con la legge
canonica universale erano problematici. E’ giusto ricordare che tale Documento era
stato inviato alla Congregazione non come documento ufficiale della Conferenza Episcopale,
ma come “Report of the Irish Catholic Bishops’ Advisory Committee on Child Sexual
Abuse by Priests and Religious” e che nella sua Premessa si affermava: “Questo documento
è lungi dal rappresentare l’ultima parola su come affrontare i problemi che sono stati
sollevati - This document is far from being the last word on how to address the issues
that have been raised”. Che la Congregazione proponesse delle obiezioni era quindi
comprensibile e legittimo, tenuto conto della competenza di Roma per quanto riguarda
le leggi della Chiesa, e – anche se si può discutere sull’adeguatezza dell’intervento
romano di allora in rapporto alla gravità della situazione irlandese - non vi è alcuna
ragione per interpretare tale lettera come intesa a occultare i casi di abuso. In
realtà, si metteva in guardia dal rischio che si prendessero provvedimenti che poi
si rivelassero contestabili o invalidi dal punto di vista canonico, vanificando così
lo stesso scopo di sanzioni efficaci che i vescovi irlandesi si proponevano.
Allo
stesso tempo non vi è assolutamente nulla nella lettera che suoni invito a non rispettare
le leggi del Paese. Nello stesso periodo il Card. Castrillon Hoyos, allora Prefetto
della Congregazione per il Clero, così si esprimeva incontrando i Vescovi irlandesi:
“La Chiesa attraverso i suoi pastori, non deve, nel modo più assoluto, ostacolare
il legittimo cammino della giustizia civile, mentre, simultaneamente, dà avvio alle
regolari procedure canoniche” (Rosses Point, Sligo, 12.11.1998). Le obiezioni a cui
faceva riferimento la lettera circa un obbligo di informazione alle autorità civili
(“mandatory reporting”), non si opponevano ad alcuna legge civile in tal senso, perché
essa non esisteva in Irlanda a quel tempo (e le proposte di introdurla sono state
oggetto di discussione per diversi motivi nello stesso ambito civile). Risulta perciò
curiosa la gravità di certe critiche mosse al Vaticano, come se la Santa Sede fosse
colpevole di non aver dato valore di legge canonica a norme a cui uno Stato non aveva
ritenuto necessario dare valore di legge civile! Nell’attribuire gravi responsabilità
alla Santa Sede per ciò che è avvenuto in Irlanda, simili accuse sembrano andare assai
aldilà di quanto asserito nello stesso Rapporto (che usa toni più equilibrati nell’attribuzione
delle responsabilità) e non manifestano la consapevolezza di ciò che la Santa Sede
ha effettivamente fatto nel corso degli anni per contribuire ad affrontare efficacemente
il problema.
In conclusione: come hanno dichiarato diversi vescovi irlandesi,
la pubblicazione del Rapporto sulla Diocesi di Cloyne segna una nuova tappa del lungo
e faticoso cammino di ricerca della verità, di penitenza e purificazione, di guarigione
e rinnovamento della Chiesa in Irlanda, a cui la Santa Sede non si sente affatto estranea,
ma vi partecipa con solidarietà e impegno nelle diverse forme che abbiamo ricordato.