2011-07-18 12:15:24

Sudan. Il nunzio Boccardi: il Sud e il Nord hanno bisogno l’uno dell’altro


Il Sud Sudan sta compiendo i primi passi come nuova entità statale dopo la proclamazione dell’indipendenza il 9 luglio scorso. Tante le sfide che deve affrontare il 54.mo Stato africano, a maggioranza cristiana e animista, e tanti anche sono i cambiamenti che interesseranno il Nord, in gran parte arabo e musulmano. Sergio Centofanti ha sentito in proposito mons. Leo Boccardi, nunzio apostolico in Sudan:RealAudioMP3

R. – Io ho ancora viva nella memoria l’immensa folla di oltre mezzo milione di persone che hanno salutato a Juba il 9 luglio scorso l’alzabandiera della nuova Repubblica del Sud Sudan e la stretta di mano tra il presidente Bashir e il presidente Salva Kir. Sono stato anch’io testimone di un evento davvero storico, forse l’ultima pagina della storia del colonialismo in Africa e l’inizio di una nuova fase della storia del Sudan, che non sarà più lo stesso e che vede oggi due nazioni sorelle che devono trovare modi e mezzi per continuare a vivere relazioni di buon vicinato e di collaborazione economica e sociale. I due Paesi hanno bisogno l’uno dell’altro e non si può immaginare che i confini, che devono essere ancora disegnati, taglieranno i profondi legami che uniscono i due Stati. I due Paesi hanno davanti a sé una strada tutta in salita. Terminata la fase dell’euforia e delle celebrazioni nel Sud è ora di costruire uno Stato che ha visto solo la posa della prima pietra, tutto deve essere messo in piedi: l’attività economica e commerciale, la partecipazione democratica dei cittadini, le infrastrutture, la riconciliazione tra i vari gruppi etnici. Le enormi ricchezze del Paese devono essere usate per il bene comune - concetto più volte richiamato dal presidente Salva Kir nel suo discorso a Juba - e quindi debellare la corruzione e l’individualismo è la priorità delle priorità. Nel Nord si stanno ancora valutando le conseguenze della separazione del Sud; dal punto di vista economico le perdite sono davvero grandi. Inoltre, il governo sta reagendo con una politica di rimpatrio di tutti i sud-sudanesi che stanno cercando di raggiungere il Sud con mezzi di fortuna. Un decreto governativo, di recente, ha ordinato a tutto il settore pubblico e a quello privato di licenziare tutti i sudisti. Nei prossimi nove mesi i sudisti dovranno regolarizzare la loro posizione. Siamo in attesa della nuova legge sulla cittadinanza che certamente renderà molto difficile la vita dei sudisti residenti nel Nord, che avranno così bisogno del permesso di soggiorno, del permesso di lavoro per rimanere nel Nord, come tutti gli altri stranieri. I segnali che giungono in questi giorni, da una parte, invitano a un cauto ottimismo - come il recente trattato di pace di Doha per il Darfur – e, dall’altra, la situazione in Abyei, nel Sud Kordofan, nel Blue Nile, è molto preoccupante. L’escalation militare e le conseguenze tragiche per la popolazione civile non possono non destare una seria preoccupazione e attenzione.

D. – Qual è il ruolo della Chiesa in questo nuovo Stato e qual è la situazione dei cristiani nel Nord?

R. – Lo scenario che si presenta per la Chiesa può essere così descritto: nel Sud la Chiesa è tutta protesa verso una nuova evangelizzazione, in prima linea nella costruzione e nella formazione delle coscienze dei cristiani e dei cittadini, oltre a promuovere progetti di sviluppo nel campo sociale, assistenziale ed economico. 20 anni di guerra hanno lasciato ancora profonde ferite che devono essere rimarginate con il perdono e la riconciliazione. A me sembra che formazione, coinvolgimento e testimonianza, siano le parole d’ordine del suo nuovo piano pastorale. E’ bene ricordare che la maggior parte dei cittadini sudanesi cristiani e cattolici si trova proprio nel Sud dove ci sono sette diocesi che oggi devono elaborare un nuovo piano pastorale, un nuovo piano d’azione, una nuova strategia per essere realmente presenti nella costruzione del nuovo Stato. Nel Nord si vede una Chiesa che si scopre in un certo senso ridimensionata nei numeri ma sempre presente e in dialogo con le altre confessioni cristiane e ora in particolare con l’islam. Proprio nei giorni scorsi c’è stato a Khartoum l’incontro dei vescovi del Nord e al termine di questa riunione hanno trasmesso a tutto il popolo cristiano presente nella repubblica del Sudan un messaggio di speranza e di azione. Quindi, direi: nel Sud una Chiesa tutta protesa verso una nuova opera di evangelizzazione e nel Nord una Chiesa, pur ridimensionata, più povera, che ora si scopre in contatto più diretto con la Chiesa, in piccole comunità di base, mantenendo viva la fede che diventa testimonianza in un contesto che sarà probabilmente, certamente, più arabo e islamizzato.

D. – Sabato scorso è morto mons. Mazzolari, vescovo di Rumbek. Un suo ricordo…

R. – Mons. Mazzolari, il caro mons. Mazzolari! La notizia della sua morte improvvisa ha colpito davvero tutti lasciando un senso di grande tristezza. Il mio è quindi un ricordo grato e commosso. L’avevo sentito solo qualche giorno fa e nulla mi faceva presagire la sua scomparsa, avevamo parlato di tanti progetti e discusso insieme di tante iniziative. Mons. Mazzolari è stato un grande missionario, un bravo vescovo, un vero figlio di San Daniele Comboni: ha amato l’Africa e ha amato gli africani. La sua mitezza, la sua bontà erano pari alla sua intraprendenza e generosità. I tanti progetti di sviluppo nel campo dell’educazione, della sanità, sono il segno evidente e concreto dell’impegno della Chiesa per l’evangelizzazione e la promozione umana. Vorrei ricordare a questo proposito il suo amore e la sua attenzione al mondo dei giovani. Abbiamo celebrato insieme due congressi giovanili, a Rumbek e a Yirol, proprio per preparare i nuovi leader cristiani del Sud Sudan. Quando mi hanno telefonato sabato mattina verso le 8.00 per comunicarmi la notizia della sua scomparsa, mi è venuta proprio questa immagine: come Mosè ha guidato il suo popolo verso la Terra Promessa, lo ha aiutato e lo ha visto entrare nella nuova patria, ma il Signore lo ha chiamato accanto a sé. Tutto ciò che è stato realizzato a Rumbek porta l’impronta di mons. Cesare e ciò resterà a lungo a parlarci di lui. Sono certo che la sua memoria resterà in benedizione in tutto il Sudan. (bf)







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