Il Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione digitale: libertà di espressione non vuol
dire attendibilità, troppa spazzatura nel web
Dialogo piuttosto che ragionamento. È così che il Rapporto presentato nei giorni scorsi
dall’Istituto di ricerca del Censis e dall’Ucsi, l’Unione cattolica della stampa italiana,
“fotografa” il panorama attuale della comunicazione. Uno scenario dominato dai social
network, e quindi – sostiene il Rapporto – da una comunicazione di tipo “orizzontale”,
piuttosto che di “approfondimento”. Antonella Palermo ha chiesto un commento
sui risultati del Rapporto al presidente dell’Ucsi, Antonio Melodia:
R. – E' quasi
un paradosso: da una parte abbiamo i tg, questi grandi strumenti che perdono credibilità
per errori gestionali fatti dalla loro conduzione, e dall’altra c’è una convinzione
- se vogliamo un po’ ingenua - che tutto quello che è libero e spontaneo sia autorevole
e controllato. Purtroppo non è così. Resta ancora forte il bisogno che nella comunicazione
abbiano peso delle competenze professionali, che facciano un po’ da garanzia, da guida,
da faro nei grandi flussi comunicativi. E’ un mondo, questo della comunicazione su
Internet, che ha bisogno di essere anche "ricolonizzato" con regole professionali,
deontologiche e competenze che non sempre gli sono totalmente congeniali. Ovviamente,
perché questo possa avvenire, bisogna che i giornalisti per primi si assumano le loro
responsabilità, che siano una categoria autonoma, libera e non sottomessa ai poteri
forti, cioè quelli economici, politici. E’ un problema generale del sistema-Paese.
Un sistema-Paese che non ha una buona comunicazione si condanna, in qualche modo,
a regredire.
D. – Anche la stampa cattolica è in crisi?
R.
– No. La stampa cattolica mi pare sia quella che sta meglio, e questo dipende anche
dal fatto che ha una sua forte riconoscibilità, identità. E’ quella che si legge anche
più volentieri perché si sa di trovarci cose un po’ diverse da quelle così simili
e uguali tra loro che si trovano su altri giornali.
D. – Cosa si chiede
alla stampa cattolica, oggi?
R. – Di mettersi veramente in contatto
con la struttura anche territoriale della Chiesa - le parrocchie, le diocesi - e costruire
un rapporto informativo legato sostanzialmente al territorio. Oggi, non basta più
la stampa nazionale: la Chiesa ha molte potenzialità di questo tipo per svolgere un
servizio che nel campo laico non viene svolto o che, se viene svolto, lo si fa insufficientemente
o male, ovvero la cosiddetta "informazione di prossimità". (vv)
Sempre
sul tema del Rapporto Censis-Ucsi, si nota che la continua fuga in avanti dei modi
di comunicazione imposti dal digitale sta scavando un solco sempre più netto tra le
nuove generazioni che li padroneggiano e quelle meno abituate alla multimedialità,
che non sono più solo gli anziani. Lo constata, al microfono di Antonella Palermo,
il direttore del Censis, Giuseppe Roma:
R. – E’ soprattutto
questa accelerazione dei fenomeni di diversificazione dei vari media, e soprattutto
l’impatto del digitale e la rottura che c’è tra le generazioni attorno al digitale,
che va al di là del tema degli anziani che non sanno usare il computer. Ormai, ci
sono dei modi di informarsi, dei modi di vedere i film, di ascoltare la musica che
sono completamente diversi non tanto per gli anziani, ma anche per le stesse generazioni
dei quarantenni, dei cinquantenni. L’altra cosa che sorprende è la grande vitalità
e attendibilità della radio, che è il mezzo più vecchio di tutti - ha cento anni -
ma che dimostra di essere uno dei più attendibili, quanto a contenuti, e non ha quel
riverbero negativo che la televisione crea con dei personaggi spesso improbabili,
che sono sempre presenti, con qualche problema anche di affidabilità giornalistica.
Quindi, la radio, oggi, forse è il mezzo che ha mantenuto la sua tradizione e l’ha
moltiplicata in meglio.
D. – Leggo ancora tra i dati: oltre l’80 per
cento lamenta il fatto che nel web circoli troppa spazzatura...
R. –
Sì ed un bene, perché la gente se ne accorge. Ma va rilevato anche un altro dato:
nonostante noi italiani vorremmo sempre tutto e gratis, abbiamo un 25 per cento che
dice che per avere maggiore qualità – quindi dei filtri, delle mediazioni, delle selezioni
– sarebbe anche disposto a pagare. E’ una piccola pattuglia, ma potrebbe essere anche
una controtendenza rispetto alla tanta spazzatura che c’è sul web. (ap)