2011-07-17 10:02:33

Il Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione digitale: libertà di espressione non vuol dire attendibilità, troppa spazzatura nel web


Dialogo piuttosto che ragionamento. È così che il Rapporto presentato nei giorni scorsi dall’Istituto di ricerca del Censis e dall’Ucsi, l’Unione cattolica della stampa italiana, “fotografa” il panorama attuale della comunicazione. Uno scenario dominato dai social network, e quindi – sostiene il Rapporto – da una comunicazione di tipo “orizzontale”, piuttosto che di “approfondimento”. Antonella Palermo ha chiesto un commento sui risultati del Rapporto al presidente dell’Ucsi, Antonio Melodia:RealAudioMP3

R. – E' quasi un paradosso: da una parte abbiamo i tg, questi grandi strumenti che perdono credibilità per errori gestionali fatti dalla loro conduzione, e dall’altra c’è una convinzione - se vogliamo un po’ ingenua - che tutto quello che è libero e spontaneo sia autorevole e controllato. Purtroppo non è così. Resta ancora forte il bisogno che nella comunicazione abbiano peso delle competenze professionali, che facciano un po’ da garanzia, da guida, da faro nei grandi flussi comunicativi. E’ un mondo, questo della comunicazione su Internet, che ha bisogno di essere anche "ricolonizzato" con regole professionali, deontologiche e competenze che non sempre gli sono totalmente congeniali. Ovviamente, perché questo possa avvenire, bisogna che i giornalisti per primi si assumano le loro responsabilità, che siano una categoria autonoma, libera e non sottomessa ai poteri forti, cioè quelli economici, politici. E’ un problema generale del sistema-Paese. Un sistema-Paese che non ha una buona comunicazione si condanna, in qualche modo, a regredire.

D. – Anche la stampa cattolica è in crisi?

R. – No. La stampa cattolica mi pare sia quella che sta meglio, e questo dipende anche dal fatto che ha una sua forte riconoscibilità, identità. E’ quella che si legge anche più volentieri perché si sa di trovarci cose un po’ diverse da quelle così simili e uguali tra loro che si trovano su altri giornali.

D. – Cosa si chiede alla stampa cattolica, oggi?

R. – Di mettersi veramente in contatto con la struttura anche territoriale della Chiesa - le parrocchie, le diocesi - e costruire un rapporto informativo legato sostanzialmente al territorio. Oggi, non basta più la stampa nazionale: la Chiesa ha molte potenzialità di questo tipo per svolgere un servizio che nel campo laico non viene svolto o che, se viene svolto, lo si fa insufficientemente o male, ovvero la cosiddetta "informazione di prossimità". (vv)

Sempre sul tema del Rapporto Censis-Ucsi, si nota che la continua fuga in avanti dei modi di comunicazione imposti dal digitale sta scavando un solco sempre più netto tra le nuove generazioni che li padroneggiano e quelle meno abituate alla multimedialità, che non sono più solo gli anziani. Lo constata, al microfono di Antonella Palermo, il direttore del Censis, Giuseppe Roma:RealAudioMP3

R. – E’ soprattutto questa accelerazione dei fenomeni di diversificazione dei vari media, e soprattutto l’impatto del digitale e la rottura che c’è tra le generazioni attorno al digitale, che va al di là del tema degli anziani che non sanno usare il computer. Ormai, ci sono dei modi di informarsi, dei modi di vedere i film, di ascoltare la musica che sono completamente diversi non tanto per gli anziani, ma anche per le stesse generazioni dei quarantenni, dei cinquantenni. L’altra cosa che sorprende è la grande vitalità e attendibilità della radio, che è il mezzo più vecchio di tutti - ha cento anni - ma che dimostra di essere uno dei più attendibili, quanto a contenuti, e non ha quel riverbero negativo che la televisione crea con dei personaggi spesso improbabili, che sono sempre presenti, con qualche problema anche di affidabilità giornalistica. Quindi, la radio, oggi, forse è il mezzo che ha mantenuto la sua tradizione e l’ha moltiplicata in meglio.

D. – Leggo ancora tra i dati: oltre l’80 per cento lamenta il fatto che nel web circoli troppa spazzatura...

R. – Sì ed un bene, perché la gente se ne accorge. Ma va rilevato anche un altro dato: nonostante noi italiani vorremmo sempre tutto e gratis, abbiamo un 25 per cento che dice che per avere maggiore qualità – quindi dei filtri, delle mediazioni, delle selezioni – sarebbe anche disposto a pagare. E’ una piccola pattuglia, ma potrebbe essere anche una controtendenza rispetto alla tanta spazzatura che c’è sul web. (ap)







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