2011-07-16 08:16:51

Usa e Ue al lavoro su debito e crisi economica


Ancora nessun accordo negli Stati Uniti sul tetto del debito. Democratici e repubblicani continuano a condividere la necessità di evitare la bancarotta, ma restano divisi sulle modalità da seguire. E il presidente Obama ieri è tornato a rilanciare un appello per evitare il default. Sentiamo Elena Molinari: RealAudioMP3

Il presidente Usa vuole che nelle prossime 24 ore i leader della destra gli presentino un piano per l’innalzamento del limite del debito e la riduzione del deficit. Siamo allo scadere del tempo, ha detto Obama, poi ha assicurato di essere pronto ad accettare compromessi. Ma su un punto è rimasto fermo: il piano finora presentato da repubblicani – a suo dire – non è serio, perché non prevede una tassazione adeguata per i più abbienti. L’incertezza politica e il rischio di un default, intanto, stanno alimentando tensioni sui mercati. "Moody’s" e "S&P" hanno già entrambe considerato un abbassamento del rating del debito Usa, che ne farebbe un investimento a rischio. Proprio per questo Obama, ieri, ha tentato di rassicurare i detentori dei buoni del tesoro americani, il bilancio degli Stati Uniti non è drammatico e non richiede nulla di radicale per essere risolto – ha detto – non siamo certo la Grecia o il Portogallo.

Oltre agli Stati Uniti, anche in Europa si sta lavorando per fronteggiare una crisi economica che, dopo Grecia, Portogallo e Irlanda, potrebbe toccare anche altri Paesi. Ieri sera sono stati resi noti i risultati dei cosiddetti “stress test”, ai quali l’Unione Europea ha sottoposto 90 banche del Continente. Solo otto istituti non hanno superato le prove di stabilità: uno austriaco, due greci e cinque spagnoli. Promosse le banche italiane. Ma che differenza c’è tra la situazione statunitense e quella europea? Giancarlo La Vella lo ha chiesto al prof. Carlo Altomonte, docente di Economia Politica all’Università Bocconi di Milano: RealAudioMP3

R. – Sono due situazioni secondo me molto diverse. Quello americano è un problema almeno nel breve periodo contingente, nel senso che riguarda tutta la dotazione finanziaria del Congresso per quest’anno e che potrebbe venire sbloccato da una decisione politica e a quel punto il problema smetterebbe di porsi e il debito americano continuerebbe a salire ma a un livello sostenibile. Mentre per quel che riguarda l’Europa, la struttura complessiva del debito viene considerata troppo elevata dal mercato per alcuni Paesi e quindi, di fatto, il mercato chiede un aggiustamento che al momento invece non viene richiesto agli Stati Uniti.

D. –Che cos’è un debito pubblico?

R. – Il debito pubblico semplicemente è la somma dei deficit che uno ha accumulato durante la propria gestione. Evidentemente prima o poi qualcuno chiederà di ripagare questo debito e da questo punto di vista, quando il debito supera un certo valore critico - diciamo il 90 per cento del fatturato - il mercato inizia a essere un po’ attento a queste dinamiche. Gli Stati Uniti supereranno questo valore l’anno prossimo e quindi probabilmente saranno visti dall’anno prossimo con un occhio un po’ più attento da parte del mercato.

D. - Guardando la dimensione più microeconomica, la ricaduta sulle famiglie qual è?

R. – La ricaduta sulle famiglie è che da un lato sicuramente ci saranno degli aggravi di spesa, piccole operazioni che avranno un impatto sulla capacità di spendere delle famiglie. Se noi non facciamo queste operazioni velocemente rischiamo di arrivare a una situazione tipo Grecia o tipo Argentina e a quel punto vedremmo svaporare la nostra ricchezza finanziaria. Per evitare questo dobbiamo fare dei sacrifici nel breve periodo in attesa che la situazione in qualche modo migliori. Cerchiamo poi di metterci d’accordo sul fatto che tutti partecipino e che non ci siano dei furbi che fanno meno sacrifici di altri ma la direzione non può che essere questa.

D. – Già si parla del rischio che alcuni Paesi escano fuori dall’euro ma questa sarebbe una misura che potrebbe salvare dalla crisi o ormai è impensabile uscire fuori dalla moneta unica?

R. - Il vero punto è non tanto che alcuni Paesi decidano da uscire dalla moneta unica ma piuttosto che l’Europa dia le risposte alla crisi necessaria: quindi una ristrutturazione del debito di Grecia e forse Portogallo e Irlanda, un vero nucleo di politica fiscale europea e un ruolo più attivo della Banca centrale europea nel gestire questa massa di debito pubblico. Se l’Italia fallisce, insieme ad essa, fallirebbe istantaneamente la Francia e a cascata la Germania. Per questo l’Italia fa la sua parte - in tre giorni abbiamo trovato 70 miliardi di manovra - adesso tocca all’Europa fare la sua parte. (bf)








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