Ancora nessun accordo negli Stati Uniti sul tetto del debito. Democratici e repubblicani
continuano a condividere la necessità di evitare la bancarotta, ma restano divisi
sulle modalità da seguire. E il presidente Obama ieri è tornato a rilanciare un appello
per evitare il default. Sentiamo Elena Molinari:
Il presidente
Usa vuole che nelle prossime 24 ore i leader della destra gli presentino un piano
per l’innalzamento del limite del debito e la riduzione del deficit. Siamo allo scadere
del tempo, ha detto Obama, poi ha assicurato di essere pronto ad accettare compromessi.
Ma su un punto è rimasto fermo: il piano finora presentato da repubblicani – a suo
dire – non è serio, perché non prevede una tassazione adeguata per i più abbienti.
L’incertezza politica e il rischio di un default, intanto, stanno alimentando
tensioni sui mercati. "Moody’s" e "S&P" hanno già entrambe considerato un abbassamento
del rating del debito Usa, che ne farebbe un investimento a rischio. Proprio
per questo Obama, ieri, ha tentato di rassicurare i detentori dei buoni del tesoro
americani, il bilancio degli Stati Uniti non è drammatico e non richiede nulla di
radicale per essere risolto – ha detto – non siamo certo la Grecia o il Portogallo.
Oltre
agli Stati Uniti, anche in Europa si sta lavorando per fronteggiare una crisi economica
che, dopo Grecia, Portogallo e Irlanda, potrebbe toccare anche altri Paesi. Ieri sera
sono stati resi noti i risultati dei cosiddetti “stress test”, ai quali l’Unione Europea
ha sottoposto 90 banche del Continente. Solo otto istituti non hanno superato le prove
di stabilità: uno austriaco, due greci e cinque spagnoli. Promosse le banche italiane.
Ma che differenza c’è tra la situazione statunitense e quella europea? Giancarlo La
Vella lo ha chiesto al prof. Carlo Altomonte, docente di Economia Politica all’Università
Bocconi di Milano:
R. – Sono
due situazioni secondo me molto diverse. Quello americano è un problema almeno nel
breve periodo contingente, nel senso che riguarda tutta la dotazione finanziaria del
Congresso per quest’anno e che potrebbe venire sbloccato da una decisione politica
e a quel punto il problema smetterebbe di porsi e il debito americano continuerebbe
a salire ma a un livello sostenibile. Mentre per quel che riguarda l’Europa, la struttura
complessiva del debito viene considerata troppo elevata dal mercato per alcuni Paesi
e quindi, di fatto, il mercato chiede un aggiustamento che al momento invece non viene
richiesto agli Stati Uniti.
D. –Che cos’è un debito pubblico?
R.
– Il debito pubblico semplicemente è la somma dei deficit che uno ha accumulato durante
la propria gestione. Evidentemente prima o poi qualcuno chiederà di ripagare questo
debito e da questo punto di vista, quando il debito supera un certo valore critico
- diciamo il 90 per cento del fatturato - il mercato inizia a essere un po’ attento
a queste dinamiche. Gli Stati Uniti supereranno questo valore l’anno prossimo e quindi
probabilmente saranno visti dall’anno prossimo con un occhio un po’ più attento da
parte del mercato.
D. - Guardando la dimensione più microeconomica,
la ricaduta sulle famiglie qual è?
R. – La ricaduta sulle famiglie è
che da un lato sicuramente ci saranno degli aggravi di spesa, piccole operazioni che
avranno un impatto sulla capacità di spendere delle famiglie. Se noi non facciamo
queste operazioni velocemente rischiamo di arrivare a una situazione tipo Grecia o
tipo Argentina e a quel punto vedremmo svaporare la nostra ricchezza finanziaria.
Per evitare questo dobbiamo fare dei sacrifici nel breve periodo in attesa che la
situazione in qualche modo migliori. Cerchiamo poi di metterci d’accordo sul fatto
che tutti partecipino e che non ci siano dei furbi che fanno meno sacrifici di altri
ma la direzione non può che essere questa.
D. – Già si parla del rischio
che alcuni Paesi escano fuori dall’euro ma questa sarebbe una misura che potrebbe
salvare dalla crisi o ormai è impensabile uscire fuori dalla moneta unica?
R.
- Il vero punto è non tanto che alcuni Paesi decidano da uscire dalla moneta unica
ma piuttosto che l’Europa dia le risposte alla crisi necessaria: quindi una ristrutturazione
del debito di Grecia e forse Portogallo e Irlanda, un vero nucleo di politica fiscale
europea e un ruolo più attivo della Banca centrale europea nel gestire questa massa
di debito pubblico. Se l’Italia fallisce, insieme ad essa, fallirebbe istantaneamente
la Francia e a cascata la Germania. Per questo l’Italia fa la sua parte - in tre giorni
abbiamo trovato 70 miliardi di manovra - adesso tocca all’Europa fare la sua parte.
(bf)