Napolitano ringrazia il parlamento per la rapida approvazione della manovra economica.
Critiche per le ricadute sulle famiglie
La manovra “dei sacrifici”, che consentirà all’Italia di superare i rischi di bancarotta,
ha ricevuto ieri il via libera della Camera dei Deputati. La legge prevede, tra gli
altri, forti tagli alle agevolazioni in campo sanitario e ai contributi per i figli
a carico. Critiche, per questo, le associazioni delle famiglie. Anche le opposizioni
hanno espresso obiezioni, tuttavia, non hanno utilizzato l’arma dell’ostruzionismo
in aula seguendo l’appello del presidente Napolitano, che ha ringraziato per la scelta.
Su come si è giunti in tempo di record all’approvazione della manovra da quasi 80
miliardi, sentiamo il servizio di Giampiero Guadagni:
Ha dunque
retto in Parlamento l’intesa politica caldeggiata dal capo dello Stato, per difendere
l’Italia dagli attacchi della speculazione. E Napolitano, che ha promulgato la legge,
ha parlato di straordinaria prova di coesione nazionale, che rafforza la fiducia nell’Italia
delle istituzioni europee e dei mercati. Nel merito, gli schieramenti politici valutano
in modo assai diverso il provvedimento: “rigoroso e in linea con gli impegni europei”
secondo la maggioranza; “socialmente iniquo e inadatto a metterci al riparo della
tempesta” secondo le opposizioni, che fanno sapere: “abbiamo consentito di approvare
la manovra in tempi rapidi per il bene dell’Italia, ma ora il governo deve andare
a casa”. Intanto il premier Berlusconi incassa il risultato politico: assicura che
nei due prossimi anni di legislatura realizzerà le riforme necessarie, ma ammette
che “la riduzione delle tasse adesso non è possibile”. Nel mondo cattolico c’è grande
preoccupazione per i tagli che la manovra impone alle famiglie, che – ha detto il
presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco – devono essere difese a tutti i costi,
perché sono la base della società civile. Critiche da parte delle associazioni: dalle
Acli alla Caritas al Forum delle associazioni familiari.
A suscitare reazioni
negative riguardo alla manovra varata ieri è anche lo scarso peso dei tagli ai costi
della politica, tagli in precedenza promessi. Stipendi, benefici, strutture amministrative
rimangono intatti. Una mancata partecipazione ai sacrifici richiesti dal provvedimento,
su cui Luca Collodi ha chiesto il parere del prof. Antonio Maria Baggio,
docente di Etica politica all’Istituto universitario Sophia di Loppiano.
R. - Direi
che anche se ci fossero stati dei tagli pesanti a tutto ciò che riguarda lo stile
di vita dei nostri politici, non avremmo comunque totalizzato una quantità di risparmio
tale da sostituire la manovra, questo è pacifico. Certo che il messaggio, invece,
è simbolico: il politico che si tassa lo stipendio, che riduce i privilegi che ha,
dice al Paese “Io sono al servizio del Paese e voglio soffrire insieme ai cittadini,
ai quali impongo dei pesi piuttosto gravosi”. Ci sarebbero stati dei provvedimenti
molto utili da prendere. Innanzitutto, realizzare l’abolizione delle province, se
ne parla molto. Ma non lo hanno fatto. Adesso nessuno, a livello politico, si sente
di farlo, perché tutti si stanno preparando alle elezioni e non si può smantellare
un apparato come quello provinciale che ha anche il grande scopo di drenare i consensi
e di costruire le campagne e la vita normale dei partiti. Avrebbero anche potuto toccare
delle categorie professionali importanti: pensiamo all’ordine degli avvocati, dei
notai. Il fatto che non si sia neppure voluto iniziare il discorso, dice qual è il
Paese di riferimento per il governo, cioè non le famiglie - perché sono state toccate
-, non i ceti produttivi - perché non sono stati aiutati -. La società di riferimento
sembra essere composta da quei ceti che godono di una rendita di sociale di posizione
e questo certamente non è un segnale positivo.
D. - Tutto questo mentre
l’Istat ci dice che in Italia la povertà sta gradualmente ma costantemente aumentando…
R.
- Ci sarà un ulteriore aumento, perché uno dei problemi, con questa manovra, sul quale
sono d’accordo analisti di vari orientamenti, è che molti dei provvedimenti contenuti
sono posticipati al 2013-2014, cioè dopo le elezioni. Il segnale è negativo, non è
positivo. Si dice, in sostanza, “noi non vogliamo decidere adesso, lasciamo la parte
più bollente di questa patata, che è la finanziaria, a coloro che verranno dopo di
noi”. Significa dire: “noi, per due anni, non faremo niente di rilevante sul piano
strategico”. Questo è chiaro che incoraggia gli speculatori, diffonde incertezza e
tutto questo si traduce proprio matematicamente in povertà. Pagheremo tutto di più.
Quindi, qui c’è una povertà che viene creata dall’assenza o da decisioni politiche
errate. Attenzione, questo è un profilo immorale: non è un mero dibattito di partito,
su cui si può essere d’accordo o meno. Decisioni che programmano una povertà successiva
sono decisioni assai sbagliate.
D. - C’è una via d’uscita a questa situazione?
R.
- Sembra ormai chiaro che serve un ricambio forte della classe politica e, per farlo,
bisogna cambiare la tanto vituperata legge elettorale, che affida ai capi dei partiti
la scelta degli organi legislativi. Gruppi di privati decidono quindi sugli organismi
pubblici che a loro volta decidono le sorti di un Paese. Si deve perciò cambiare la
classe politica, ma serve anche che la società sia disposta a favorire questo cambiamento.
(vv)