Premi “Fair Play Mecenate" per lo sport: toccante testimonianza di Chantal Borgonovo
Venti personalità del mondo agonistico sono state premiate ieri a Cortona nel corso
della cerimonia di consegna dei riconoscimenti “Fair Play Mecenate 2011”. L’iniziativa
è stata promossa dal comune della cittadina toscana e dal Centro Sportivo Italiano.
Motivo dell’assegnazione, la promozione di valori positivi come la lealtà, la correttezza
e la pace. Tra i presenti, la squadra palestinese femminile di pallavolo, premiata
dal nostro direttore generale, padre Federico Lombardi. Il servizio del nostro inviato
a Cortona, Giancarlo La Vella:
I valori
dello sport servono non solo al mondo agonistico, ma anche a rendere migliore la società
in cui viviamo. Ognuno dei venti premiati ieri sera a Cortona rappresenta un esempio
da seguire. Le più applaudite sono state le giovani ragazze del Peacevolley, italiane,
israeliane e palestinesi, che lo scorso anno, in Terra Santa, hanno dato vita ad uno
storico triangolare della Pace, giocato sotto il muro di Gerusalemme ad un passo dal
check point. Le palestinesi sono state premiate dal nostro direttore generale, padre
Federico Lombardi. Un riconoscimento all’impegno per la pace e la fratellanza fra
i popoli, e soprattutto un segno di speranza per una pace più duratura nella regione
mediorientale. Tra i premiati nomi noti del panorama sportivo italiano: Francesco
Moser e Alfredo Martini, per il ciclismo; i pallavolisti Yumilka Ruiz e Alessandro
Fei, l’ex pilota Riccardo Patrese, l’arrampicatore Maurizio Zanolla, gli sciatori
Christof Innerhofer e Giuliano Razzoli, il pugile Roberto Cammarelle, e le ragazze
della ginnastica ritmica. Premio speciale per Chantal Borgonovo,
moglie del noto calciatore Stefano Borgonovo, colpito da SLA, sclerosi laterale amiotrofica,
che ha creato una fondazione proprio con lo scopo di finanziare la ricerca su questa
terribile malattia.Toccante la sua testimonianza:
R.
- E’ stato un percorso lungo, complicato. Poi, alla fine, Stefano ha maturato questa
decisione tre anni fa e si è mostrato, ha parlato della sua malattia. E’ una malattia
che ancora ha bisogno, soprattutto, di essere conosciuta di più dagli addetti ai lavori
e il progetto che stiamo portando avanti è proprio di sensibilizzazione e anche di
lavoro fattivo perché noi siamo sostenendo la ricerca e abbiamo un progetto molto
importante per quanto riguarda l’assistenza che partirà nell’autunno.
D.
– La presa di coscienza della malattia in qualche modo legata a quella che era l’attività
di Stefano…
R. – Certo non è stato facile. Stefano si è ammalato a 40
anni, nel pieno del vigore fisico. Stefano è stato uno sportivo, quindi chiaramente
era un uomo sano, avevamo una bella famiglia, avevamo già tutti i nostri figli, quindi
una vita tutto sommato serena; fino ad allora non abbiamo avuto grossi problemi. La
diagnosi di questa malattia in famiglia è arrivata come una bomba, devo dire che è
stata una cosa tremenda. Poi, come dico sempre, ci si abitua per fortuna o per sfortuna
- ancora lo devo capire - a tutto. Noi, da un certo punto di vista, abbiamo fatto
di questo problema che c’è successo di necessità virtù. Ormai non si poteva tornare
indietro, la malattia c’era e abbiamo cercato di andare avanti nel miglior modo possibile:
cioè, con l’impegno verso gli altri - che in prima battuta aiuta noi, me in modo particolare
- e con la speranza poi di contribuire prima o poi a sconfiggere questa terribile
malattia, perché vi garantisco che è una malattia veramente davvero terribile. Stefano
è sempre stato nella vita e anche nello sport un “signore”, una persona educata, una
persona forte, una persona determinata, una persona con fede e tutto questo poi nel
prosieguo, in modo particolare con quello che c’è successo, ci ha aiutato. La formazione,
l’educazione, i valori emergono prima o poi, soprattutto emergono davanti alle difficoltà.