Fame e siccità in Somalia. Mons. Bertin: la più grande catastrofe umanitaria del mondo
Una catastrofe umanitaria: è quanto si sta verificando in Somalia, colpita da una
devastante siccità che sta colpendo milioni di persone. Centinaia di migliaia di uomini,
donne, bambini, stanno fuggendo nei Paesi vicini in cerca di acqua e di cibo, mentre
nel mondo continuano senza pietà le speculazioni che fanno alzare i prezzi dei generi
alimentari. Quattrocentomila somali sono ammassati nel solo campo profughi di Dadaab
in Kenya. Tardano gli aiuti umanitari. Secondo l'Unicef sono circa 10 milioni le persone
ad avere urgente bisogno di soccorsi. Su questa situazione drammatica Sergio Centofanti
ha sentito l’amministratore apostolico di Mogadiscio e vescovo di Gibuti, mons.
Giorgio Bertin:
R. – Penso
che realmente questo disastro, come dice l’Onu, sia il più grande disastro attuale,
nel mondo. La situazione della siccità in Somalia è particolarmente aggravata dal
fatto che sono 20 anni che manca un’autorità, manca lo Stato, soprattutto nella Somalia
del centro-sud. Ecco perché gli effetti della siccità, che stanno colpendo anche alcune
parti dei Paesi vicini - l’Etiopia, il Kenya, Gibuti stesso, dove mi trovo - non sono
così devastanti, come nella Somalia del centro-sud, perché là c’è mancanza di sicurezza
e continui combattimenti fra diversi gruppi. Le popolazioni più colpite dalla siccità
si stanno dirigendo in questo momento verso i campi profughi in Kenya e verso l’Etiopia
del Sud.
D. – Quali aiuti hanno questi profughi?
R. –
E’ difficile far pervenire gli aiuti nella Somalia del centro-sud, a causa della mancanza
di sicurezza. Anche se ultimamente il gruppo che controllava in gran parte questa
zona, gli Shabab, hanno detto che qualsiasi ong è benvenuta, purché rispetti la cultura
e la religione del posto.
D. – Le principali vittime in questa situazione
così critica sono i bambini…
R. – Chiaramente i bambini sono le persone
più fragili, senza dimenticare gli anziani. Il nostro progetto nel basso Juba comprende
i bambini al di sotto dei 10 anni, e anche un certo numero di persone anziane, che
si trovano senza un sostegno familiare.
D. – Si parla di mezzo milione
di bambini in pericolo di vita…
R. – Sì, queste cifre sono realistiche.
D.
– In questo contesto, che cosa fa la comunità internazionale?
R. – La
comunità internazionale si sta mobilitando. Ma c’è bisogno di un grande coordinamento.
D.
– La Chiesa sta portando i suoi aiuti anche attraverso la Caritas e i partner della
Caritas. Qual è la situazione della Chiesa in Somalia?
R. – In Somalia
la Chiesa, la struttura ecclesiastica, è già stata distrutta 20 anni fa. Abbiamo continuato,
però, una certa opera attraverso la Caritas. In modo particolare, in questi ultimi
tempi, visto che non abbiamo lì presente il nostro personale, lavoriamo con dei partner
locali, dunque per interposta persona.
D. – Quali sono le speranze per
la Somalia, perché ritorni ad essere uno Stato?
R. – Io dico che bisogna
sempre sperare, bisogna insistere e presto o tardi si arriverà a questo obiettivo.
Forse anche questa grande siccità può essere l'occasione per rilanciare nuovi tentativi
per una ricostruzione dello Stato. (ap)